COLLASSO ANALITICO
Il varcare la soglia di Casa Testori è intrinsecamente legato alla memoria di una frase che per lungo tempo ha troneggiato nell’atrio d’ingresso: una citazione di Giovanni Testori che non solo lasciava trasparire in maniera evidente quanto l’uomo e l’arte a cui ha dato vita (come scrittore, drammaturgo, artista e critico) fossero legate in maniera indissolubile, ma anche la premonizione che quelle parole del passato interrogassero in modo decisivo il nostro futuro. Sulla parete stava scritto: “Però, io ti assicuro che quello che mi ha sempre aiutato a vivere, e, di più, ad accettare la vita anche nella sua maledizione, è sempre stato il ritorno a casa. Si fanno queste puntate verso l’esterno – che possono anche essere violente, distruttive – ma poi il ritorno a casa dà all’esperienza stessa di quell’uscita un calore indicibile. Perché ritornare non vuol dire affatto dimenticare, non vuol dire scrollarsi di dosso la violenza e la distruzione. Vuol dire solo entrare in un luogo che accoglie, che riceve quel dolore e quella cattiveria, dando loro un senso…”.
Casa Testori è dunque un luogo che porta questa memoria, un luogo di senso, come lo furono un tempo le case di famiglia, anche quando la severità traspariva nelle geometrie planimetriche e la quieta eleganza veniva nascosta sul retro tra le meraviglie feconde di un giardino. Ma al contempo rimanda a un viaggio interiore, a un movimento, una dialettica tra l’io delle mura e quello che vi fa ritorno. In questo iato, ancora conciliabile per Testori (grazie alla centralità di una famiglia e di una fede), sta la sfida dell’artista contemporaneo, disperso in un’Europa che si finge unita e incerto sul luogo in cui riconnettersi, per iniziare a ricordare.
Collasso analitico, un percorso in fieri e un’indagine a porte aperte più che una mostra, raccoglie il lavoro di due artiste cosmopolite, Giulia Bruno e Micol Roubini, entrambe nate a Milano ma con radici che le hanno portate altrove. Giulia Bruno, da anni collaboratrice stretta di Armin Linke, ha attraversato il globo alla ricerca di un’utopia legata alla sua storia familiare: l’esperanto, da una parte un tempo lingua capace di riconnettere diverse nazioni varcando le frontiere, dall’altra lingua della resistenza, che rinasce in paesi non allineati creando nuove comunità in nome di un progetto di universalismo. Micol Roubini parte dall’antica fotografia di una casa e una lista d’oggetti: le testimonianze più care conservate nell’appartamento milanese di un suo nonno, scappato dall’Ucraina in seguito allo sterminio della propria famiglia, prima in Russia, per poi arrivare in Italia. Saranno questi pochi documenti a guidarla attraverso l’Europa, fino all’Ucraina occidentale, in un paese che in cent’anni ha cambiato cinque volte identità nazionale e che ora attraversa una delicata fase di transizione.
(dal testo introduttivo della Mostra curata da Daniela Persico)