WHAT DO WE SEE WHEN WE LOOK AT THE SKY?
Il film di Alexandre Koberidze, presentato in concorso alla 71ª Berlinale, conferma uno dei talenti più puri del cinema internazionale, capace di creare un affresco miracoloso in cui lo stupore della visione rimane intatto come di fronte a un incantesimo.
ANNETTE
Léos Carax sembra volerci dire che dare troppa importanza all’arte è solo un modo per dare troppa importanza a noi stessi, perché è nella vanità e nell’egocentrismo che si annida il male del secolo.
È STATA LA MANO DI DIO
Paolo Sorrentino ci costringe ancora una volta a dismettere un giudizio di valore nell’analizzare il suo cinema, ormai trasformatosi in un percorso reazionariamente programmatico, tentandoci così di cedere a catastrofismi e a intravedere dietro a queste opere svuotate di ogni istanza sovversiva, non tanto la morte del cinema, quanto la sua e la nostra sconfitta.
RE GRANCHIO
Attraverso un'operazione quasi fantasmagorica che ricuce il presente con il passato, Alessio Rigo de Righi e Matteo Zoppis elevano le potenzialità di un racconto orale fino a raggiungere le vette di una mitologia senza tempo.
I GIGANTI
Bonifacio Angius costruisce un film radicale e dunque difficile da digerire e categorizzare, che ci riporta su un piano della narrazione statico e selvatico, dove l'accenno a un possibile canovaccio si riduce al susseguirsi di battute balbuzienti, inevitabilmente rivolte ad una fine già incombente dall'inizio.
IL BUCO
Rinunciando a filmare un ambiente di facile collocazione spaziale e temporale, l'ultimo film di Michelangelo Frammartino rinnova con successo lo scarto da un approccio totalmente antropocentrico all'immagine e dal bisogno archetipico di controllare il visibile.
TITANE
In Titane Julia Ducournau aggira la gabbia della drammaturgia classica attraverso un’immagine diventata ormai una cosa a sé stante, oltre il genere e la morale, verso una nuova poetica dell'inanimato, senza avventure, senza prove, senza resurrezioni.
THE CARD COUNTER
Cinema realizzato senza porsi la questione del perché e per chi: realizzato e basta, per necessità, sfogo e testimonianza di un dissidio interiore, come risposta inevitabile alle sofferenze del mondo. Paul Schrader crede ancora in questo cinema, non come redenzione o espiazione, ma come presa di coscienza.