IN LIBERO ESILIO
Premiato con l'Orso d'oro all'ultimo Festival di Berlino, Synonymes di Nadav Lapid è un film radicale sulla nozione di alterità ed esilio, che rivendica con furore il diritto di asilo a un paese che non esiste, se non come insieme di desideri e possibilità: il cinema.
LO SPAZIO
DELLA LIBERTÀ
Gli autori più interessanti del panorama contemporaneo si pongono in un dialogo fertile e aperto con la realtà. Con A Ciambra, Jonas Carpignano ridefinisce ulteriormente i confini di quanto oggi chiamano senza imbarazzo il cinema del reale.
UNA CERTA IDEA DI CINEMA AMERICANO
Con Good Time, i fratelli Joshua e Ben Safdie arrivano in concorso al Festival di Cannes: un cinema primario, il loro, inteso come immersione in luoghi e corpi, con una fortissima componente “documentaria”.
L’ACCABADORA
Pau racconta uno snodo cruciale della storia recente attraverso la forma di un cinema apparentemente fuori tempo massimo. Un cinema "classico" per mettere in scena un processo di mutazione in pieno svolgimento.
REVENANT – REDIVIVO
Un cinema, quello di Iñárritu, sostanzialmente esibizionistico, che si rifugia nella feticizzazione dell’arte intesa come unicità della performance, dove ci sono molte cose da guardare ma non se ne vede nessuna.
MEMORIE DI UN TEMPO OFFESO
Bella e perduta di Pietro Marcello è la struggente elegia di un territorio devastato. La storia del bufalo Sarchiapone diventa metafora di un'Italia degli umili, esclusi da ogni rappresentazione del presente.
IL VIRUS DRACULA E LA CIRCUITAZIONE ASSOLUTA
Blackhat di Michael Mann: lucido noir sulla smaterializzazione di tempo e spazio, dove ogni luogo è a portata di mano ma non c'è più nessun posto dove andare. Perché il mondo in cui viviamo non è più il nostro.
JÀ VISTO, JAMAIS VISTO
Kommunisten di Straub è mosso dal desiderio di dare forma al mondo, raccontandolo non attraverso la presunta neutralità delle immagini di repertorio ma tentando di fare del proprio archivio un’altra memoria.
CANNES 67/2: SOTTO IL SOLE DI SATANA
Con la ferocia liberatoria di P’tit Quinquin, Dumont rivela che “ognuno sta solo sul cuore della Terra” ma prima che sia “subito sera” si può forse provare a ridere della “insensatez” che ci divora.
IL DANDYSMO DELLA MANCANZA DI GUSTO, O DEL CONSENSO
Il critico portatore di consenso esibisce la propria limitatezza di gusto come una sorta di sofferta maturità estetica: analizza il film al contrario, a partire dalle sue presunte limitazioni e non per le sfide di cui si fa latore.
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