Matteo è un ragazzo cresciuto in una città della provincia padana. La sua famiglia gestisce un’impresa di pompe funebri. Fin dall’infanzia vive circondato dalla morte. Quando, un giorno, vede in televisione le immagini di un famoso torero spagnolo, subisce la fascinazione per la tauromachia. Preso in giro dai compagni, che lo chiamano “becchino”, e tormentato dalla grave malattia della madre, durante una gita scolastica in Spagna entra per la prima volta in una plaza de toros: da quel momento, scopre che il suo sogno di diventare torero può diventare realtà. In parallelo, il vitellino Fandango, cresciuto in un allevamento dell’Andalusia, viene separato dalla madre per essere allevato e diventare così un toro da combattimento.
Animale | Umano è un film che, fin dalla sinossi, può trarre in inganno lo spettatore: pur essendo costruita con gli ingredienti tipici del coming-of-age adolescenziale (la fuga da un luogo ostile per ricercare un obiettivo lontano, l’avvicinamento di un mentore, l’incontro/conflitto con il compagno di viaggio César), l’opera prima di Alessandro Pugno appare come un vero e proprio saggio sulla morte.
Cadenzato da una divisione in capitoli, a sottolineare la dicotomia tra essere umano e animale già messa in campo dal titolo, la narrazione non assume la struttura lineare classica del viaggio di crescita, bensì la circolarità di un’arena psicologica fatta di continui flashback e flashforward, in cui il racconto si sviluppa attraverso un movimento irregolare, come una spirale concentrica al cui centro giace la figura del protagonista Matteo e il suo desiderio atavico di affrontare l’animale: l’altro da sé, ma mai così vicino alla sua stessa natura mortale.
A differenza di quanto avviene nella corrida, infatti, in cui l’epica e atroce messinscena giunge al suo culmine nel finale con l’uccisione del toro (ma talvolta, anche del torero: peraltro è un’incornata fatale, mediata dalla televisione, a scatenare il click del personaggio nella sua infanzia), in Animale | Umano la morte è preludio della narrazione, presente fin dai primi fotogrammi ad attraversare l’esistenza dell’uomo e dell’animale. Nel film di Alessandro Pugno la corrida è la celebrazione di una morte, la definitiva certificazione di un qualcosa a cui ciascuno di noi (uomo o animale che sia) appare destinato.
Animale | Umano, come il cinema, fotografa la morte in divenire: il progressivo e inarrestabile consumarsi della carne fino al momento finale. È proprio sulla consapevolezza di questa magnifica e terribile sorte che si genera la divisione tra Matteo e César, l’amico dell’accademia di tauromachia: a differenza del protagonista, questi è vittima del peso della tradizione, rappresentata dal padre padrone Tejera, ultimo erede di una storica famiglia di toreri, al quale il giovane rampollo non sembra avere la forza di ribellarsi. Se César appare terrorizzato dalla morte, Matteo non appare né impaurito né indifferente di fronte ad essa: al contrario, sembra esserne completamente parte fin dalla nascita, nel corpo e nella mente. Vive circondato da essa, nelle onoranze funebri di famiglia prima, sul letto della madre poi, e infine nella plaza de toros.
Opera prima transnazionale, Animale | Umano è un film capace di costruire un immaginario narrativo e visivo lontano dalla norma del cinema italiano contemporaneo, in cui la costruzione della dicotomia – fin troppo programmatica – tra uomo e animale diventa paradigma attraverso cui si svela una tensione tra i corpi: quello innocente di César, da una parte, e quello già ferito e segnato dalle cicatrici “da lebbroso” di Matteo dall’altra. Corpi imprigionati da un destino, in una dimensione in cui la sessualità omoerotica è latente ma mai manifesta, laddove impera la repressione di un contesto ancora impregnato dal nacional-catolicismo che Pugno restituisce, memore del suo precedente percorso da documentarista, attraverso l’architettura dell’accademia (simile a un collegio religioso franchista).
Quello che sembra profilarsi come uno speculare cammino di liberazione, si rivela in realtà come un sottile corridoio che conduce all’unico scenario possibile dove mettere in gioco le questioni umane: l’arena, dove ciascuno è costretto ad affrontare a tu per tu i propri demoni interiori.