“In principio era il Verbo.”
Giovanni 1,1
Se si tentasse di definire l’elemento primordiale del cinema di Yuri Ancarani, ovvero il seme da cui tutto germoglia, si potrebbe affermare – credo – che esso corrisponda al luogo. Vero detentore del potere dichiarativo in cui l’ambiente si fa sostituto della parola. Non è un caso che opere come San Siro e San Vittore, prendano il titolo direttamente da quelli che sono i suoi protagonisti: gli spazi. E dunque il luogo come nome proprio, vero volto dei personaggi di cui si vuol discutere. E lo stesso vale per il sonoro che, come nei casi di The challenge e Atlantide, si impone sul verbo. In cui il suono dei motori ha la stessa valenza – se non di più – di una frase pronunciata da qualcuno. Si tratta di vibrazioni dichiaranti, soggette però al complesso e soggettivo processo dell’interpretazione e, tal volta, anche al rischio del fraintendimento. Presentato in anteprima mondiale durante le Giornate degli Autori e passato ad Aosta durante il 13° FrontDoc, Il popolo delle donne è l’ultimo progetto filmico dell’artista che, in un inaspettato ma ben pertinente mutamento espressivo, ribalta le coordinate del suo cinema, portando in primo piano il discorso, l’argomento. E dunque la parola.
Marina Valcarenghi, psicoterapeuta e psicoanalista che per anni – tra le altre cose – ha lavorato nei reparti di isolamento maschile dei penitenziari, nel film si fa portavoce di un studio in cui si afferma quanto – nonostante le lotte contro l’oppressione femminile abbiano cominciato a dare i suoi frutti – i crimini di femminicidio siano oggi più elevati che mai. Una tematica importante e delicata che per tutta la narrazione si dispiega e approfondisce tramite diversi esempi e testimonianze. E dove si posiziona lo sguardo di Ancarani? Ebbene, in una soluzione solo apparentemente semplicistica, la camera si pone, quasi in maniera reverenziale, frontale e dal basso rispetto alla sua protagonista. Seguendo una linea tra l’epico e il didascalico, l’autore ci mostra una video lezione dall’urgenza biblica. E allora ecco che decade la messa in scena e si innalza la documentazione. Il regista decide saggiamente di fare un passo indietro, scarnificando l’interpretabilità delle immagini a favore di una fruibilità data da un montaggio a tre punti che posa gli occhi sempre verso la Valcarenghi. Soluzione che permette alle parole della protagonista di risultare ancora più chiare di quanto già non lo siano, denotando ancor di più l’urgenza del messaggio.
Il popolo delle donne è perciò a tutti gli effetti un video; forma espressiva che l’autore rivendica orgogliosamente, senza temere che il ritmo e il linguaggio del proprio progetto possa ricordare – anche solo vagamente – quello di un video aziendale, dove semplicità e chiarezza sono la base. Ancarani ruba tale linguaggio e lo innalza tramite i contenuti, ma non solo. Alle immagini della locutrice sono infatti intervallati momenti in cui degli studenti universitari preparano un cartellone da esporre durante un pride a Milano. È qui che il regista spinge con il linguaggio del video, andando a bilanciare forma e contenuto. Ancora una volta Yuri Ancarani si dimostra grande conoscitore dell’audiovisivo, usufruendone solo le “parti” strettamente necessarie. Probabilmente non il film (o video) che più ci ha estasiato gli occhi, ma forse quello che più di tutti ha l’urgenza di essere visto. E soprattutto ascoltato.
“e il Verbo era Dio.”
Giovanni 1, 3