Estranea alle saturazioni dell’autofiction, in Camping du Lac Éléonore Saintagnan sembra optare per un io obliquo, plurale, che la include e la trascende: mentre dà corpo al personaggio della narratrice che attraversa il suo lungometraggio d’esordio, la regista francese suggerisce che dentro quell’auto in cui la vediamo fuggire verso l’oceano, e che presto va in panne nel bel mezzo della Bretagna costringendola a sostare in un campeggio vista lago dove forse si nasconde un enorme pesce leggendario, in gioco c’è molto più che la sua sola, semplice storia. E molto più che il suo solo sguardo.
Camping du Lac, Premio speciale della giuria nell’ottimo Cineasti del presente di Locarno76, è infatti un meraviglioso catalizzatore di alterità, tutto all’insegna di una weirdness che è anche il divertito punto di incontro tra cinema del reale e cinema di genere (il fantasy, ma anche un po’ di fantascienza): a partire dalle esplorazioni del campeggio, dentro cui la protagonista si ritrova suo malgrado e che poi sembra buñuelianamente non voler abbandonare più, Saintagnan mostra l’istinto di ricodificare il qui, l’ora e il sé, immergendosi in un flusso ecfrastico che, attraverso i tanti ritratti ai suoi vicini di bungalow o la scoperta delle narrazioni che ammantano il luogo, diventa il prisma per una domanda cruciale: siamo ancora in grado di sentire la vita degli altri?
In questo processo captativo – Saintagnan personaggio ricorda una bambina che dispone nuovamente dello spazio per farsi abitare da ciò che la circonda – le digressioni di Camping du Lac ibridano epoche, immaginari e figure differenti: nulla di nuovo per l’autrice che nei suoi precedenti corti e mediometraggi ha sempre lavorato a un personalissimo mix tra documentario etnografico, film-diario e inatteso innesto di finzione. Senza tradire l’approccio relazionale di partenza, che ha significato per quasi un anno la convivenza della regista con l’eterogeneo gruppo dei residenti del camping, il film esprime momento dopo momento, e ancora una volta, che la realtà è un formidabile acceleratore di affabulazione: che le storie sono proprio lì, di fronte ai nostri occhi, ed esistono, è il caso di dirlo, anche per allenare la nostra capacità di scorgerle o elaborarle, stratificandosi nei tempi e nelle forme più curiose, dall’agiografia (le vicende del santo locale, Corentin di Quimper) alla letteratura (un riferimento dell’autrice per la creatura che abita il lago: The Fish di Russel Banks, ma dall’Italia non possiamo non pensare anche ai racconti di Gianni Celati), dall’osservazione diretta al camuffamento, dal verisimile alla fantasmagoria, in una canzone folk o in un fuoco d’artificio, generando di scorcio in scorcio, tra ritmo e percezione, un atlante microcosmico che è un modo di fare cinema e insieme una maniera di (re)immaginare il mondo.
Questa spinta verso le traiettorie del possibile potrebbe essere il motore di una soggettività liberata, che si tratti dello sguardo dell’autrice o dei suoi nuovi compagni di vita, ma va ben oltre questo esito, per così dire, circoscritto, perché Saintagnan ricorda di convergere verso il vero centro del suo film, ovvero, metonimicamente, il misterioso pesce gigante che abita il lago. Emblema dell’invisibilità di fronte alla quale non resta che aver fede – o intorno a cui architettare l’ennesimo, sconfortante business –, la creatura acquatica di Saintagnan è soltanto l’ultima delle molte che al cinema hanno osservato attonite la natura dell’uomo, rappresentando banco di prova e seconda coscienza per i suoi comportamenti. Attraverso la sua materializzazione (potrebbe trattarsi di un sogno, ma ormai è letteralmente tardi per chiederselo), Camping du Lac diviene una parabola ecologica che rimette in prospettiva la misura del nostro saper abitare un luogo. Riuscendo a legare tutte le storie minute e singolari precedentemente esplorate a un destino comune, un film che sembrava aprirsi sulla più assoluta vocazione alla fuga, al disimpegno, chiude con una dolente immagine politica che è anche uno dei più bei finali di Locarno76.
[Foto di copertina: @Michigan Films]