Tutto o quasi, nell’anagrafica di Licorice Pizza, suona dissonante. Come nelle precedenti esplorazioni del sentimento condotte da Paul Thomas Anderson, le aspettative legate ai generi con cui l’amore è stato convenzionalmente rappresentato al cinema sono tradite. Una deformazione che a un primo sguardo passa quasi sottotraccia, lasciando però ogni volta l’impressione di un mondo incoerente e sfilacciato. In Ubriaco d’amore derivava dal rimodellamento del rigido schema della rom-com attorno alla personalità ossessivo-compulsiva di Barry Egan: una vera e propria camicia di forza da cui il personaggio finiva trionfalmente per liberarsi, riscrivendo il genere a modo suo. In Il filo nascosto era invece la deviazione dal mélo in costume al più sadomasochistico e cerebrale gioco al massacro, condotta con la pulizia e il nitore formale di un sarto d’alta moda. In Licorice Pizza è qualcosa che ha a che vedere con la sproporzione, con un affresco apparentemente fedele della Los Angeles anni Settanta che a poco a poco scolora in una mappa senza reali coordinate, a partire dall’età dei suoi abitanti. Gary Valentine, ad esempio, a 15 anni ostenta una sicurezza da self made man ed è già nella fase discendente della carriera nello show business. Alana, invece, è una venticinquenne che non può fare a meno di domandarsi se sia giusto sottrarsi alla maturità per vagabondare al seguito di un gruppo di adolescenti. Anche il mondo adulto sembra attraversato dal medesimo paradosso, con le forze dell’ordine che perpetuano arresti di persone sbagliate, come bambini con il gioco preferito, e divi del grande e piccolo schermo tanto immaturi da rendere la loro immagine pubblica poco più che un carapace vuoto. È quindi difficile non leggere nel film, oltre al ritratto nostalgico della San Fernando Valley in cui Paul Thomas Anderson è cresciuto, un riflesso del presente in cui siamo precipitati, e di cui il decennio in cui tramontava la contestazione è stato l’anticamera. Il paternalismo contemporaneo, con cui si invitano le giovani generazioni a diventare grandi attraverso esperienze vicarie e role-playing, e non con l’apprendimento (anche in Italia ne sappiamo qualcosa, vedi alla voce alternanza scuola-lavoro), è solo l’altra faccia della medaglia di un processo di idealizzazione che oggi spinge ad affidarsi fatalisticamente a leader minorenni o alle magnifiche sorti e progressive del “nuovo”. In Licorice Pizza basterebbero gli sguardi bramosi di Jack Holden su Alana a dare una misura dell’aura costruita negli ultimi 50 anni intorno alla giovinezza e al suo potere salvifico, per depotenziarne la carica eversiva e ridurla al più banale degli status symbol.
Licorice Pizza, nel suo affascinante andamento fluttuante e ricco di deviazioni, restituisce tutta la spontaneità di una storia d’amore che giovane lo è per davvero, perché non ancora marchiata da condizionamenti socio-culturali, ma al contempo porta inscritta un’ansia dimostrativa piuttosto inedita per PTA. L’idea, cioè, di passare in rassegna, in rigoroso ordine progressivo, gli ambiti da cui l’immaginario statunitense ha preso forma nel secondo Novecento, per portarne alla luce l’estrema fragilità. Si parte dalla TV, dove l’infanzia è puro bene di consumo, mentre un fugace ingresso nel dietro le quinte svela tutta la competitività degli attori adulti verso i piccoli colleghi. A Hollywood, nel bel mondo dello star system di serie A, le cose non vanno diversamente. Anche qui il gap generazionale pare azzerarsi: adulti di successo si trovano ad affidare le loro case – e quindi se stessi – a un branco di adolescenti, dimostrandosi ben più sprovveduti di loro. Infine, in politica, è sul giovane Joel Wachs che si proiettano tutte le speranze: una figura che, anche nella realtà, per veicolare il nuovo è stata costretta a occultare il proprio orientamento sessuale, cedendo all’arretratezza dell’opinione pubblica.
Gary e Alana, quindi, attraversano i marosi personali e quelli più imponenti della grande Storia – la guerra del Vietnam, la crisi del petrolio – inseguendo un’idea di adulto che, accerchiati da una coralità dallo sviluppo arrestato (più vicina a Il dottor Stranamore che ad Altman), non hanno potuto costruirsi. Li vediamo avviare i loro business improbabili, dai materassi ad acqua ai flipper, aderire a cause politiche per senso estetico, e proiettarsi, pur con la loro naïveté, verso il sogno americano. Tuttavia, a ogni punto messo a segno, in loro sembra sempre prevalere una spinta eversiva, un impulso a sabotare e a sabotarsi, anche come coppia, che ha tutta l’aria del gesto situazionista. Mentre cercano di crescere, di non lasciarsi abbattere dal loro senso di estraneità (anche fisiognomica) al contesto, è come se scegliessero di rispondere alla farsa – quella di una nazione-bambina, guidata dal solo bisogno di appagare desideri, siano guerre o pulsioni sessuali – con la farsa.
Così come farsesco è il ricorso di PTA a nomi di celebrità che ammiccano agli originali, ma che sono anche altro. Lo si nota perché in Licorice Pizza ci si presenta di frequente agli altri. Gary lo fa con formule collaudate da provinante, mentre Alana ci arriva in modo goffo, spesso menzionando a sproposito le sue radici ebraiche. Ciascuno recita la propria parte guidato anzitutto dalla necessità di essere riconosciuto: chi nella speranza di sentirsi finalmente qualcuno, chi nel terrore di essere dimenticato. In questo senso non è solo romantico che il primo contatto tra Gary e Alana avvenga grazie a uno specchio, quello che lei porge svogliatamente a lui nel piano sequenza iniziale, e che i loro incontri successivi siano spesso ripresi attraverso il loro riflesso su vetrate e finestre. È anche un segnale di come la loro collisione possa portare al superamento di quest’ossessione, perché nella loro relazione il bisogno di essere riconosciuti riesce a declinarsi immediatamente in un bisogno più profondo di riconoscersi, di rispecchiarsi nell’altro. E così è proprio Alana a fornire immediatamente a Gary un’immagine di sé, un appiglio visivo contenente tutti i limiti della sua età e le imperfezioni della sua persona: l’unico farmaco davvero efficace contro quel narcisismo che lo rende così prossimo agli adulti che li circondano. Se anche l’amore fosse una regressione – come suggerisce la voce improvvisamente infantile di Alana, alla fine del film –, tutto considerato sarebbe certamente la meno dannosa.