«Ma naturalmente per capire i cambiamenti della gente, bisogna amarla.»
(Pier Paolo Pasolini, Scritti corsari)
«Chi è Lucio Dalla?» – «Io». Così risponde Dalla durante una delle interviste d’archivio che appaiono nel documentario di Pietro Marcello Per Lucio, presentato a Berlino lo scorso marzo e nelle sale italiane in questi giorni. Una risposta che racchiude il nucleo profondo del film del regista campano, dove il bisogno di spiegare il personaggio e darne un giudizio lascia lo spazio a una narrazione più umana, a una necessità di riportare il punto di vista verso quel profondo “io”, da cui non si può prescindere per evocare la poesia dei versi dell’artista bolognese.
Il documentario ripercorre la carriera musicale di Dalla, raccontando gli inizi e concentrandosi soprattutto sul periodo di collaborazione con Roberto Roversi. Pietro Marcello apre il film con le dichiarazioni di Tobia (Umberto Righi, il manager storico) al quale affida le redini del discorso su Lucio, introducendo solo da metà in poi un secondo personaggio, il filosofo e amico d’infanzia Stefano Bottarga. I racconti di Tobia prima, e dei due poi, sono fatti di aneddoti, episodi che rivelano particolarità e difetti di una personalità eccentrica e istrionica sì, ma prima di tutto di un amico. Lo stesso dialogo tra i due, che avviene di fronte alla tavola di una tradizionale osteria bolognese, è costruito come una chiacchierata tra amici, dove ciò che conta è il ricordo, velato di una sfumata nostalgia, e molto viene lasciato al non detto. La macchina da presa diventa un terzo interlocutore, una silenziosa ma palpabile presenza, che non reclama però alcuna spiegazione né contestualizzazione: Pietro Marcello non fornisce annotazioni biografiche che non emergano naturalmente dalle rievocazioni aneddotiche di Tobia e Stefano, in una chiara e coerente scelta autoriale che lascia allo strumento evocativo il compito di restituire le idee, i pensieri, e la presenza di Dalla.
Lucio Dalla è proprio questo, una “presenza”, come dicono i due amici, tanto che se ne parla sempre al presente. Ecco quindi che il documentario lo evoca, nelle parole degli amici ma anche, e forse soprattutto, nei filmati d’archivio che accompagnano le sue canzoni, e che costituiscono l’altra parte del film, quella più poetica e più viva.
Pietro Marcello costruisce infatti il suo documentario su uno scambio biunivoco tra le canzoni di Dalla, dalla grande forza visiva, e i filmati d’archivio, creando un dialogo continuo che parafrasa i versi e li associa alle immagini dell’Italia del secondo Novecento. Si intravedono le migrazioni del meridione verso il Nord industriale, le proteste studentesche degli anni Settanta, l’attentato alla stazione di Bologna del 1980, le campagne via via più vuote e abbandonate; un’Italia in fermento, verso uno sviluppo di tipo pasoliniano, che lascia alle spalle senza troppo rammarico quella cultura contadina tanto cara a Dalla e soprattutto a Roversi.
Nella costruzione di questa parte del film, le canzoni e i filmati sembrano arricchirsi a vicenda e caricarsi di un significato collettivo, testimoni di quel mutamento antropologico che lo stesso Pasolini avvertiva nella società italiana del boom economico. Attraverso la combinazione dell’elemento sonoro e di quello visivo, Per Lucio si trasforma in un componimento poetico, un’opera che utilizza il popolare per innalzarsi all’universale. Ascoltare e osservare diventano un unico, inseparabile atto che evidenzia in maniera più profonda quella perdita progressiva di pietà nella Storia, che Dalla cantava con una consapevolezza che solo l’affetto e il rispetto verso il mondo popolare possono dare.
C’è una forte continuità in Per Lucio con i film precedenti di Marcello. Non soltanto con La bocca del lupo, del quale il regista riutilizza qui alcune scene, o con Il passaggio della linea, di cui ritorna un immaginario simile, in un filmato d’archivio che ritrae il profilo di Lucio Dalla a bordo di un treno, ma anche, e forse soprattutto, con il più recente Martin Eden. Così come Marcello parte dal romanzo di Jack London e attraverso il suo protagonista naviga lungo le ideologie del Novecento, esplorandone meccanismi e strascichi, così il suo Lucio Dalla diventa profeta e interprete dello spirito del tempo, dell’Italia del dopoguerra e del boom economico e delle sue mutazioni.
Se Per Lucio si presenta inizialmente come dedica e atto d’amore soggettivo di Pietro Marcello al cantautore bolognese, filmato dopo filmato, intervista dopo intervista, si rivela sempre di più come una dichiarazione universale di un modo di intendere l’arte e la poesia che ha molto a che fare con la Storia, la ricerca antropologica e l’impegno politico.