“I pride myself on not having become an alcoholic until after I was already a failure, because alcoholic failures are boring. I ruined my life sober, and then I came to you.”
Bloody Nose, Empty Pockets, ultimo film dei fratelli statunitensi Bill e Turner Ross, che ha affascinato al Sundance Film Festival e ha vinto il Premio del Pubblico al Carbonia Film Festival, è un esperimento riuscito di umanità brulicante e sincera, che “surfa” sul filo del bancone in un costante rimescolamento di carte tra realtà e messa in scena quasi teatrale, dove lo spazio chiuso di un bar si trasforma in palco per le performance di personaggi indimenticabili.
Girato verso la fine del 2016, durante la campagna presidenziale che avrebbe portato Trump alla presidenza segnando un cambiamento epocale e disastroso nella politica americana, il film dei fratelli Ross nasce come un ibrido, a partire dalla costruzione di un luogo archetipico: il bar, nello specifico il Roaring 20s, un locale di Las Vegas sull’orlo del fallimento, di cui seguiamo le ultime 24 ore prima della chiusura. Lontano dalle luci della ribalta, un pullulare di vita anima locali come questo, trasformandoli in veri prolungamenti della propria casa per chi li frequenta assiduamente, creando un bizzarro mosaico di storie e persone diverse, unite dal comune bisogno di contatto.
Così, i due registi hanno immaginato il Roaring 20s, che in realtà si trova a New Orleans, come simbolo di uno dei tanti bar incontrati nei quartieri più dislocati di Las Vegas, il cui mito è meno brillante ai margini delle strade e nelle bettole dove il fumo avvolge con lo stesso calore i sogni e i rimpianti. A partire da questo luogo-rifugio, i fratelli Ross hanno individuato le persone che lo avrebbero popolato tra amici e veri avventori di bar, persone incrociate sulla strada e altre in seguito a casting. E seguendo l’idea che chi frequenta i locali notturni sa come comportarsi in un bar, conoscendone il linguaggio e i codici, hanno creato l’incontro che ha dato vita a Bloody Nose, Empty Pockets, in una sintesi di comicità e tenerezza, verismo e brutalità avvolgenti.
Con il pretesto della festa di addio che segna la chiusura dell’amato bar, ubriaconi seriali e giovani donne, veterani amareggiati ed ex attori falliti si ritrovano in una comunità tanto reale quanto momentanea, dove ogni gesto dato con tenerezza è reso gratuito dalla consapevolezza ultima della sua inevitabile sparizione al mattino. Il confronto intergenerazionale è slegato dai vincoli familiari ma non da quelli affettivi, come ricorda col suo illuminato cinismo Michael, quando dice al giovane amico australiano che “Famiglia è una parola abusata. Io non sono la tua famiglia, sono solo uno con cui stai al bar”.
Senza voler essere politici o didascalici, i fratelli Ross mostrano un mondo in estinzione, immortalando nel film il momento in cui qualcosa sta finendo, e il futuro è sfocato e incerto. I personaggi che animano lo schermo della loro graffiante ironia e spregiudicatezza incarnano la necessità di far sopravvivere dei canali di connessione e di calore umano, in una condivisione che tra ultimi della terra viene più facile. La solitudine, il rimpianto e il fallimento sono alcuni dei frutti del sogno americano, e chi ha perso la paura riesce a riderne sguaiatamente, e ad ammettere che in fondo ciò che si cerca è solo un po’ di conforto, e di non trasformarsi in una barzelletta.