Il cinema sperimentale è un genere che fin dalle origini si muove in una condizione di semi clandestinità, complice la sua forma ibrida e l’intrinseco polimorfismo che interessa non solo i suoi contenuti ma anche il supporto e le modalità con il quale esso si realizza e si manifesta. Questa eterogeneità nuova, seppur vecchia di un secolo, che ha ben poco da spartire con il cinema NRI (narrativo – rappresentativo – industriale) secondo l’espressione usata da Claudine Eizykman (La jouissance cinéma, 1976) lo conduce a una condizione di difficile definizione e catalogazione, non solo semantica (ne è esempio il celebre Eloge du cinéma expérimental di Dominique Noguez) ma anche fisica: qual è il luogo del cinema sperimentale? A partire dagli anni Sessanta tale genere ha individuato una sua dimensione non-ufficiale, gettando le basi per un network parallelo che risponde a logiche e meccanismi distributivi propri.
Il nostro Paese non ha mai visto l’affermarsi di una vera e propria tradizione sperimentale, complice la mancanza di strutture longeve dedite alla sua diffusione: la fugace esperienza della Cooperativa Cinema Indipendente (1967-69) non è bastata per la creazione di un circuito, tanto meno di un reale interesse nazionale nei confronti di questi esperimenti in pellicola. In mancanza di una distribuzione ufficiale, tale cinema si è trovato costretto a cercare altri spazi, scindendosi tra una rete espositiva (musei e gallerie) e una meno immediata, che ne ha caratterizzato da sempre la diffusione, ovvero l’attività delle associazioni e dei collettivi. Tale quadro complesso si dipana attraverso più livelli, influenzato anche delle recenti attività di salvaguardia e restauro del patrimonio sperimentale italiano: ci troviamo di fronte a un micro mercato eterogeneo di difficile tracciabilità. Nonostante di recente siano diversi i protagonisti e le figure che stanno tentando di mettere in atto una rinascita del circuito italiano, prediligendo la qualità e l’interesse artistico delle opere, la questione iniziale sul dove e come vedere, documentarsi e informarsi rispetto a questo tipo di cinema nel nostro Paese, resta.
Come intuì Bertrand Tavernier nel 1967 a proposito delle opere sperimentali, «questi film non potranno avere alcun avvenire, se non saranno mai distribuiti»: l’anonima ed invisibile figura del distributore in questo specifico settore risulta infatti essenziale poiché essa si fa garante della diffusione e della conoscenza di un intero genere, garantendone la continuità (perciò l’esistenza), sostituendosi a tutti gli altri attori (dalla critica al mondo accademico) e operatori culturali. A tal proposito Light Cone è una delle ragioni per cui oggi godiamo della facoltà di guardare, parlare, discutere di cinema sperimentale. Distribution, diffusione et sauvegarde du cinéma expérimentale: queste le tre missioni che si propone oggi la più famosa cooperativa francese (consideriamo che la Francia è il paese europeo con più società di distribuzione di cinema sperimentale in attività). Baluardo europeo del cinema sperimentale mondiale, attualmente vanta una delle più importanti collezioni di opere appartenenti al genere con circa cinquemila titoli di 800 cineasti, capace di competere con la più antica cooperativa al mondo, la Film-Makers Cooperative di New York.
Ogni anno vengono integrati nel catalogo LC dalle 150 alle 200 opere, delineando un affresco completo (metà della collezioni è composta da opere di patrimonio) nonché storicamente e geograficamente variegato dei più importanti artisti del Ventesimo secolo e di quello corrente, dando vita (collection vivante, la definiscono i più) a una collezione eclettica, oltre i confini di genere, formato, contenuto, nazionalità; lo stesso nome è un chiaro omaggio all’opera di Anthony McCall Line describing a Cone (1973), titolo cardine del cinema performativo. Light Cone nasce nel 1982 per volere dei cineasti Miles McKane e Yann Beauvais in uno dei decenni più bui del cinema sperimentale francese (arresto del Festival d’Hyeres, numerose crisi interne nelle cooperative preesistenti sorte all’inizio degli anni Settanta, diffondersi del materiale video a discapito della pellicola). Come affermato da Beauvais «l‟unica alternativa era pensare ad un altro spazio (…) Tutto ciò non solo per riuscire a guardare i film almeno una volta sola, ma per fare in modo che fossero davvero distribuiti, favorendo continui scambi: bisognava creare un sistema dove vi fosse sì una lotta, ma per il riconoscimento della nostra pratica, accettando le tendenze diverse».
Plasmata sull’intuito personale dei due fondatori, la collezione di Light Cone è riuscita, nonostante il clima ostile degli anni Ottanta, a rendere giustizia alla complessità del cinema sperimentale mondiale dell’epoca, tessendo sapientemente un legame con il settore museale e le istituzioni. Ancora oggi, il catalogo conserva la stessa ecletticità, senza mancare di coerenza. Come dichiarato a più riprese dai fondatori, la missione della struttura non è limitata alla mera distribuzione commerciale delle copie ma vuole permettere a questo cinema di esistere: Beauvais e McKane sono stati capaci di decifrare il terreno contemporaneo, dando vita ad un nuovo attivismo attorno all‟arte sperimentale. Sin dagli albori (1983) il ciclo di proiezioni Scratch Projection, ideato come luogo di incubazione di idee, come tassello essenziale per la formazione del cineasta in quanto momento di riflessione per porre opere differenti in rapporto tra loro, è sinonimo di Light Cone. Sviluppatosi nel corso degli anni in più direzioni, oggi ha raggiunto la propria stabilità divenendo il principale strumento di diffusione di cui si avvale la Cooperativa francese: la programmazione riflette quelli che ne sono gli intenti e i principi ideatori, ovvero celebrare il cinema sperimentale nella sua diversità, posando l’accento sulle opere nuove e meno conosciute. Nel giro di poco tempo Scratch è divenuto un simbolo, una rassegna all’interno della quale gli stessi cineasti desiderano essere inseriti. All’aumentare della fama del distributore venne pertanto regolarizzata la programmazione attraverso una selezione di tipo tematico (le proiezioni hanno luogo una volta al mese) e si è perfezionata e arricchita nel corso degli ultimi due decenni con l’aggiunta di Scratch Expanded (dedicato all‟expanded cinema), Prewiev Show (una sorta di piccolo festival rivolto ai professionisti del settore) e Scratch Collection (inaugurata nel 2019 con l’obbiettivo di ri-scoprire il patrimonio Light Cone). Tuttavia, durante il periodo di lockdown e la chiusura delle sale cinematografiche, ogni realtà, sperimentale compresa, si è trovata a far i conti con metodi alternativi di distribuzione, trovando in quella online l’unico appiglio possibile. Lo ha fatto la Film-Makers Cooperative, il Collectif Jeune Cinéma (rendendo visibili gratuitamente circa 300 opere sul proprio canale Vimeo), Cinédoc, Re:Voir Video, per citarne alcuni. Distribuire cinema sperimentale online solleva molte questioni, in particolare di carattere etico, in riferimento a un genere che considera la proiezione come un atto performativo strettamente legato al supporto d’origine e al pubblico stesso. Si tratta di un dibattito che è emerso più volte nel corso degli anni, in particolare con il passaggio al digitale (necessario di fronte al diminuire di sale capaci di garantire proiezioni in pellicola): il genere sperimentale ha sempre dovuto adattarsi per sopravvivere, soprattutto oggi, scendendo a compromessi ideologici sconosciuti a chi non è del settore (e questo è uno dei motivi per i quali non vedremo mai in formato digitale un’opera di Kubelka, da sempre oppostosi alla diffusione delle proprie opere in supporti diversi da quello originale).
Grazie allo streaming l’accesso alle opere è divenuto più libero: sono molte le società che distribuiscono online film di qualità e indipendenti, opere che hanno spesso lo spazio di un festival senza giungere alla sala cinematografica: ne è un chiaro esempio il catalogo Mubi (Philippe Garrel, Jonas Mekas, Maya Deren, per citare i più famosi). In fin dei conti il paradosso è sempre lo stesso: il cinema sperimentale esiste da sempre, ma non sappiamo come vederlo, pochi ne parlano, nonostante le possibilità di diffusione non siano mai state così ampie come quelle odierne. Nel momento in cui le sale riaprono e la strana frenesia del “tutto online e subito” sembra svanire, Light Cone percorrere questa modalità utilizzandola come soluzione concreta per alimentare, gratuitamente, democraticamente e in maniera il più capillare possibile, il dibattito sul cinema sperimentale. Ancora una volta riesce a interpretare le esigenze della contemporaneità e della distribuzione odierna inaugurando due nuove sezioni di Scratch disponibili online: Scratch Dialogues e Scratch Focus. Nello specifico, Scratch Dialogues è pensato, appunto, come una sorta di dialogo all’interno della collezione allo scopo di esplorare le relazioni di analogia e interazione tra le opere, attorno a uno specifico elemento. Per le prime due rassegne online Light Cone sceglie due elementi primordiali, imprescindibili delle nostre esistenze: l’acqua (A fleue d’eau, Jacques Perconte, 2009; Images de l’eau, Philippe Cote, 2013; Aussicht von einem treibenden floss – View froma floating raft, Karø Goldt, 2005) e la luce (Ich Bin 33, Jan Peters, 2000; Sol, Olivier Fouchard, 2012; Affection Exonerante, Yann Beauvais, 2008), indagando quel legame che sovente il cinema sperimentale stringe con la natura, soprattutto dal punto di vista fisico, quasi in un rapporto di simbiosi con la macchina da presa e le differenti tecniche cinematografiche possibili. Scratch focus è invece inteso come approfondimento mensile per scoprire l’operato di un cineasta: il primo di questi appuntamenti è dedicato a Larry Gottheim, figura fondamentale del cinema d’avanguardia americano degli anni Settanta e Ottanta. Le opere rese disponibili sono Tree of knoledge (1981), Mnemosyne mother of muses (1986), The red Thread ( 1987), Chants and dances for hands (2016) e Knot/Not (2019).
Avere accesso a collezioni come questa vuol dire ripercorrere nel dettaglio la taciuta storia del cinema sperimentale mondiale: tali cooperative sono archivi inestimabili, a metà tra cineteche e distributori veri e propri. Reperire queste opere online è oggi una possibilità preziosa non solo per il riconoscimento ufficiale di questo genere cinematografico ma per consentire a nuovi occhi di godere di quest’arte, pura esperienza del visivo e del sensibile, in particolare in paesi come il nostro in cui la proiezione di certe opere si rifà a eventi occasionali. Ritornano come monito le parole di Yann Beauvais: «è bene avere degli scaffali su cui accumulare film, ma se poi questi rimangono lì non serve a niente. Dunque è necessario mostrarli.»