Ripartire, ancora una volta, dai Dardenne: dall’assenza di stile, dal pedinamento, dall’asciuttezza e dalla limpidezza di una narrazione che non concede sottotrame e non ha bisogno di pretesti. Con L’età giovane, premiato all’ultimo Festival di Cannes per la miglior regia, i fratelli Luc e Jean-Pierre raccontano per la prima volta nella loro filmografia un personaggio del tutto monodimensionale e impermeabile, convinto di avere già delle certezze e una struttura interiore, senza un’accettabilità sociale da (ri)conquistare e proteggere come Emile Duquenne in Rosetta o Marion Cotillard in Due giorni, una notte. Ahmed, dodici anni, è un islamista che vuole applicare alla lettera i dogmi della Jihad e che si muove all’interno di contesti in cui non trova appoggi morali, educativi e familiari: la sua radicalizzazione è figlia di una convinzione ignota e primigenia, e si esprime mettendo in atto una battaglia quotidiana e solitaria che trova la sua manifestazione più plateale nel tentativo di omicidio di una sua insegnante.
La preadolescenza nel film dei Dardenne non è un terreno fertile in cui il protagonista attraversa un percorso di formazione e gradualmente sviluppa la propria personalità: al contrario, il giovane Ahmed è un individuo asettico, privo di conflitti interiori e di interrogativi, ripetitivo nei gesti e nei rituali, talmente integerrimo da riuscire a negarsi persino il piacere della scoperta dei sentimenti, dei primi palpiti e dei primi baci, in nome della fede per il Corano. Questa permanente assenza di cambiamento nel corso della storia è lo spigolo più appuntito di una figura mai così poco empatica e scevra di giustificazioni in tutta la galleria “dardenniana” di uomini e donne alle prese con gli obiettivi della dignità personale, della sopravvivenza fisica ed economica e dell’accettazione socio-individuale. Il comportamento di Ahmed è sbagliato sin dall’origine, affidandosi a una lettura estremista e violenta della religione. Eppure, la natura sgraziata del suo corpo e l’ingenuità connaturata alla sua giovinezza gli permettono ancora una possibilità di redenzione.
Può darsi che la diffidenza con cui L’età giovane è stato accolto dalla maggior parte dei critici al Festival di Cannes sia dovuta alle sottolineature di un carattere pericoloso e minoritario che rischia di far degenerare la pellicola in un’interpretazione islamofoba. In realtà, la mancanza di identificazione emotiva che una macchina da presa incollata alle azioni del suo soggetto riesce a tradurre in termini di sgradevolezza e irrequietezza evidenzia ancora una volta la magistrale e antiretorica abilità registica dei Dardenne, che esalta la complessità dei gesti, dei dettagli e degli stati d’animo, disinnescando le attese di un’opera civile e didattica volta a ricalcare idee e convinzioni. L’età giovane è un film su un ragazzo di oggi, che rinuncia alla propria adolescenza per seguire una strada inappropriata per la sua età e inaccettabile per il nostro mondo. Il nostro sguardo non può essere accondiscendente o compiaciuto: quello che interessa ai Dardenne è come sempre l’indagine umanista, da non fraintendere con un’attitudine meno laica che in passato.
Seppur lontano dalla tensione narrativa e dalla raffinatezza psicologica di capolavori come Il figlio e L’Enfant, ancora oggi modelli di riferimento di un metodo che ha riconsiderato il cinema drammatico interessato alle condizioni sociali e reali, L’età giovane si collega al precedente e sottovalutato La ragazza senza nome per la riflessione sulle responsabilità del singolo, dell’individuo, aggiungendosi e non sostituendosi alle considerazioni sulle disfunzioni e ingiustizie del sistema capitalista e sul conflitto di classe. Forse dopo le Palme d’Oro e più di vent’anni di osanna ricevuti non soltanto dalla critica più militante, i Dardenne non appaiono più come i cineasti a cui rivolgersi per un rinnovamento dello sguardo, ma il loro percorso autoriale si evolve rispondendo alla necessità di racconti e di immagini che interroghino una società sempre più sfaccettata e contraddittoria, a sua volta in costante trasformazione.