A IsReal Festival 2019 si è aggiudicato il secondo premio, riuscendo a sintetizzare nel quadro cinematografico la dimensione percettiva e politica del suo oggetto di indagine: Zagros, documentario di Shahab Mihandoust e Ariane Lorrain, prende il nome dalla regione montuosa dell’Iran occidentale dove la comunità dei Bakthiari vive della tradizionale lavorazione a mano dei tappeti, dall’allevamento delle pecore alla loro tosatura, dalla realizzazione del pigmento fino alla tessitura vera e propria. Questi manufatti realizzati da abili tessitrici possono arrivare a chiedere tre anni di lavorazione, e il film si propone di condurre, proprio all’insegna della gradualità, attraverso tutte le fasi che, implicitamente, scandiscono il ritmo della vita di una comunità, tra suoni, colori, e testimonianze aperte al futuro.
Come riconosciuto dalla giuria del festival, il film non tace infatti un interrogativo fondamentale sul destino di una microeconomia locale nel confronto impari con la globalizzazione. Una sfida che si ripropone in diversi villaggi e regioni del mondo, tale per cui Zagros, pur raccontando di un’area specifica, affronta un cambiamento su scala allargata. Di origini diverse, Shahab Mihandoust e Ariane Lorrain si sono incontrati durante gli anni di studio a Montréal, l’uno emigrato dall’Iran, l’altra nata in Canada da madre iraniana e profondamente legata alle proprie radici mediorientali. A dispetto di due visioni plausibilmente diverse del loro paese d’origine, questo progetto sintetizza in unico sguardo una progettualità cinematografica e una ricerca etnografica scandita nel tempo: nell’arco di un anno gli autori hanno visitato la regione al centro del film, condotto i necessari sopralluoghi e discusso i possibili percorsi narrativi, trovato in Canada i fondi per la produzione, segno quest’ultimo di un riconoscimento culturale dalla nazione di residenza al comune luogo di origine, in un ideale legame tra presente e passato.
L’immagine del tappeto, simbolo intrinseco di una dimensione di radicamento, di rifugio, di casa, diventa l’oggetto intorno cui si articola la struttura stessa del film, spontaneamente lineare, organica, costituitasi attraverso la relazione dei registi con i personaggi del racconto: “Non siamo stati noi a decidere chi erano i protagonisti, ma sono stati loro a scegliere noi, accogliendoci e ospitandoci nelle loro vite”. Altrettanto naturale è la progressiva fascinazione che la documentazione delle lavorazioni instilla nello sguardo, frutto di una precisa scelta delle modalità di ripresa che ora restituiscono il rapporto tra uomo e ambiente, ora il magnetismo di tinte e colori, ora l’umanità della postura artigianale di chi giorno dopo giorno aggiunge pochi centimetri alla tessitura complessiva. Realizzato dai soli due autori, che si sono divisi i compiti tecnici, Zagros rende conto, anche a livello sonoro, di quella esperienza di prossimità che è la vocazione più autentica del film: mostrare la vita e il lavoro di chi rischia oggi di diventare invisibile.