– Let me give you some advice Kumail: you gonna know that you want to spend the rest of your life with when you cheat on her. When you cheat on her and you just feel like shit.
– So, to fully know I love someone I have to cheat on them?
– Out loud, it sounds stupid. Eh it’s… Yeah it’s a terrible advice. Love… love isn’t easy. That’s why they call it love.
– I don’t really get that either.
– I know. I thought I could just start saying something, and something smart would come out.
«Anche se non vi piacerà questo film, nel guardarlo penserete: Sicuramente hanno passato tutto questo». Le parole di Kumail Nanjiani – attore protagonista e sceneggiatore del film assieme alla moglie Emily V. Gordon – rendono bene l’idea dello stile di The Big Sick; un prodotto che utilizza la retorica della verosimiglianza quale elemento caratteristico della propria estetica. Non solo, dunque, il racconto di fatti vissuti e personaggi esistiti, ma un approccio stilistico che, com’è intuibile, vuole dare un’impressione di autenticità a ciò che viene narrato e rappresentato.
Non stupisce, pertanto, il costante richiamo a Judd Apatow (qui produttore) da parte di critici e cinefili, in un contesto in cui l’autorialismo risponde a meccanismi industriali che si estendono ben oltre il solo riferimento al metteur en scéne. Il caso in questione, infatti, altro non è che una nuova declinazione di un modello che fa, appunto, della ricerca alla verosimiglianza, uno dei principali elementi di riconoscibilità. Tale modello, così pare, sembra avvicinarsi sempre di più a una sorta di parificazione tra commedia e toni più drammatici, in cui il fragore della risata si affievolisce a vantaggio di una maggiore presenza di temi ad alto impatto emotivo. Questa sembra la via intrapresa da prodotti come Love (2016), Crashing (2017) e The Big Sick. Più, dunque, Funny People (2009) e meno teen o no-longer-teen comedies alla stregua di 40 anni vergine (2005), Molto incinta (2007), Suxbad (2008). Un filone, quest’ultimo, il cui effetto-verosimiglianza risiedeva, semmai, nell’unione tra scatologia (più nei dialoghi che all’interno messa in scena) e caratterizzazione dei personaggi.
È curioso, a tale proposito, che molti dei nuovi prodotti a marchio Apatow abbiano come protagonisti degli stand up comedians e come la rappresentazione dei retroscena della risata sia il pretesto principale per aggiungere toni seri alla commedia. In The Big Sick, infatti, le battute principali sono innestate all’interno dei dialoghi, spesso come strategie di fornicazione o come blandi tentativi di stemperare la tensione, mentre degli spettacoli comici vediamo solo i momenti di raccordo, i grandi fallimenti, i disturbatori in azione. In buona sostanza, non si ride sguaiatamente ma si rimane nei limiti di un comico a bassa densità, quasi un sottofondo al dramma della malattia di Emily, al rapporto conflittuale con la famiglia tradizionalista di Kumail, alla sua condizione di immigrato pakistano in America, e alla linea dedicata alla ricerca della felicità di coppia, quella dei protagonisti e quella dei genitori di Emily, Beth e Terry (in fondo, nota Roy Menarini usando la famosa espressione di Stanley Cavell, The Big Sick è una commedia del rimatrimonio).
Ciò che convince dell’operazione, è, dunque, la precisa calibratura dei toni e delle linee narrative e l’approfondimento psicologico dei personaggi. Tali soluzioni rimandano a un’estetica che vuole ridurre al minimo eccessi di patetismo, ricerche ossessive del sublime, massime pseudo-filosofiche. A questo proposito, lo scambio riportato in esergo è un esempio esplicativo di come il profilo delle battute del film tenda a rimanere basso. Mentre uno spettatore ingenuo si aspetterebbe da parte di Terry una frase ad effetto, quest’ultimo fallisce miseramente, troncando una conversazione che, in un ipotetico film più tradizionale, sarebbe risultata illuminante per l’interlocutore. Analogamente, la risoluzione dei conflitti familiari e amorosi, nell’ultimo atto della vicenda, avviene in maniera graduale, sfumata o non completa.
In pieno stile Apatow, dunque, The Big Sick non si sottrae alla dichiarazione preventiva di uno spoiler che è caratteristica principale delle rom-com. Analogamente, come sosteneva una decina di anni fa Giancarlo Zappoli riguardo a Molto incinta, trasforma i personaggi in persone. Vale a dire, si presta a un alto grado di approfondimento dei caratteri. Ne risulta una convincente variazione del tema dello spaesamento comico, per cui il rapporto conflittuale tra uomo e mondo non è limitato al solo protagonista ma si estende all’intero corpus dei personaggi. Un rimando, insomma, a una condizione umana che pare coinvolgerci tutti. È certo che questa sia la grande rivoluzione del cinema di Judd Apatow, e The Big Sick ne è una più che dignitosa declinazione.