“Io ho ucciso mio padre, ho mangiato carne umana e tremo di gioia.
Ho ucciso mio padre, mangiato carne umana e sto tremando di gioia.
Ho ucciso mio padre, ho mangiato carne umana, tremo di gioia.”
Porcile, Pier Paolo Pasolini
A incuriosire di Lady Macbeth, forse prima ancora di aver visto il film, è il fitto gioco di rimandi fra le sue fonti di ispirazione, che si muovono tra letteratura, teatro e infine musica. Partendo naturalmente dalla celebre fatica di Shakespeare, l’opera prima del regista teatrale William Oldroyd si lega in realtà alla novella russa Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk di Nikolaj Leskov, lavoro letterario da cui il compositore Dmitrij Šostakovič trasse un’opera musicale in quattro atti. L’ambientazione geografica del lungometraggio predilige però un ritorno alle origini shakespeariane del titolo, e la storia si svolge nella campagna inglese. Questo dedalo di richiami letterari e non, tuttavia, non nega all’opera la sua indipendenza e originalità, tanto su un livello prettamente narrativo quanto sul piano sottotestuale.
La storia di Oldroyd racconta di Katherine, giovane nobildonna costretta a sposarsi con un uomo nei confronti del quale non nutre il minimo sentimento o interesse, che la costringerà a vivere reclusa in una magione di campagna, isolata dal resto del mondo. Questo assillante sottofondo a metà tra noia e tragedia la porterà a intraprendere una relazione con uno degli stallieri alle dipendenze del marito. Nato quasi esclusivamente come atto di ribellione, questo amore clandestino assumerà sempre maggiori proporzioni, fino a scatenare una serie di delitti commessi dai due amanti per poter perpetuare la loro passione.
Nel suo racconto Leskov porta entrambi – reclusi e condannati ai lavori forzati – a pagare per i crimini commessi, e formula una fine umiliante per la protagonista, che muore in un fiume gelato in seguito alla lotta con un’altra donna, accusata di essere l’amante del suo uomo (in piena conformità agli echi narrativi che la letteratura russa dell’epoca era solita seguire); nella trasposizione cinematografica Oldroyd vira invece verso ben altra direzione, conducendo Katherine a un trionfo finale dopo averla trasformata in una dispensatrice di vendetta, incapace di distinzioni tra sesso, classe sociale o età di chi decide, più o meno coscientemente, di frapporsi tra lei e la sua realizzazione.
Il risvolto più attualizzante e forse interessante di Lady Macbeth riguarda la riflessione sulla rivolta di cui si fa carico. Cedendo il fianco a una rabbia distruttiva, che deriva dai soprusi sociali e dalle discriminazioni di genere dell’Inghilterra del XIX secolo, il film mette in scena una furiosa disobbedienza verso le proprie ascendenze, declinata a livello di puro intreccio ma ascrivibile anche a una sua lettura metanarrativa. Nel tratteggiare questa antieroina il regista non concede infatti alcun slancio empatico a favore del pubblico: Katherine non ha bisogno della nostra empatia per rivendicare ciò che è suo di diritto, e nel momento in cui le viene tolto si limita a riprenderlo, con ogni mezzo.
Oldroyd tuttavia non si ferma a questa analisi, ma porta il discorso a uno stadio ancora successivo, estendendo l’iniquità del conflitto alla lotta di classe. La ribellione della nobildonna viene perpetuata anche grazie alle garanzie che il suo ceto sociale le assicura, mentre chi, come il suo amante, non può dire altrettanto di sé, sarà destinato a soccombere a un complotto impossibile da smentire. La perversa catena del racconto si manifesta in tutta la sua crudeltà, perpetuando ingiustizie su ingiustizie in un mondo che sembra capace di dispensare solo rabbia e miseria.
La carriera teatrale del regista dirama le sue influenze sulla messinscena, costruendo un palcoscenico in ogni inquadratura e negando ai personaggi lo spazio e l’aria che il linguaggio filmico potrebbe concedere. Dalla protagonista fino all’ultima comparsa, tutti i figuranti di quest’opera splendidamente grottesca paiono imprigionarsi in una gabbia archetipica e, per astio nei confronti del mondo e degli uomini e donne che lo abitano, esprimono se stessi solo gettando ulteriori gabbie su chi, anche per poco, ha goduto della libertà. La visione di Lady Macbeth interroga dunque malinconicamente lo spettatore, gravato in parte dalla pena per la cecità con cui l’ira guida i malcapitati di questa favola nera, in parte dalla capacità che il cinema ha di sondare le colpe più oscure e nascoste dell’animo umano.