Tra i film più importanti della Mostra del cinema di Venezia 2017 trova sicuramente posto First Reformed, opera di cui forse non si è parlato abbastanza, complice anche l’assenza totale dal lotto dei premiati. Il grande ritorno di Paul Schrader, dopo i flop di The Canyons e Cane mangia cane, è una sorta di summa dei temi fondamentali del suo cinema, che il regista e sceneggiatore cala nell’asfissiante attualità politica e sociale degli Stati Uniti.
Sin dall’inizio della sua carriera, il calvinista Schrader è stato attraversato da ossessioni religiose, tanto che la sua tesi di laurea, poi diventata libro, si intitola Il trascendente nel cinema: Ozu, Bresson, Dreyer (attualmente edito da Donzelli nella collana Virgolette). Rileggendo quel testo è possibile comprendere come Schrader si sia chiesto, da subito e con urgenza, come rappresentare “l’invisibile” al cinema, in particolare come cogliere e raccontare il trascendente. Il trascendente per Schrader è infatti un significato in-visibile, una sorta di struttura interna del visibile che lo organizza e che si può quindi ritrovare compiendo un percorso a ritroso.
Cogliere il trascendente è sempre stato, quindi, per Schrader, più una questione di metodo (e di forma) che di contenuto, un “modo” di organizzare il visibile che spesso finisce per “rendere oggetto” il rapporto intimo dei suoi personaggi con la propria problematica spiritualità.
In questo caso, lo spazio del film ha un centro, la chiesa del titolo, la First Reformed, nell’Upstate newyorchese, regione fertile per la campagna elettorale trumpiana, un tempo luogo storico per la lotta contro lo schiavismo e ora edificio perennemente e simbolicamente vuoto, visitato soltanto da qualche turista in cerca di selfie. Il film si snoda nel periodo immediatamente precedente la “ri-consacrazione” della chiesa, evento celebrativo puramente esteriore che riporterà qualche scampolo di attenzione e frutterà un bel po’ di soldi ad Abundant Life, movimento ecclesiastico manageriale che gestisce le anime con logiche da share televisivo.
Questo contesto prende forma con scelte di messinscena radicali, a partire da un soffocante 4:3 in cui tutto l’apparato visivo è ispirato a geometria e rigore, un ambiente e una modalità di rappresentazione che si fanno correlativo oggettivo del mondo interiore e spirituale del protagonista, uno spazio punitivo in cui non c’è spazio per compromessi e sfumature (si veda anche il colore spento che viene come attraversato da un contrasto iper accentuato che separa nettamente i bianchi e i neri) e in cui si muove il reverendo Toller, interpretato da un convincente Ethan Hawke. La sua voce fuori campo racconta la vicenda, e dà al film la forma di un flusso di coscienza, tramite il diario spesso disperato e apocalittico che il Pastore decide di imporsi quasi come una dolorosa cura, un sofferto processo di autoanalisi. Bresson è ovviamente il modello esplicito, ma si affaccia anche il Bergman di Luci d’inverno. Toller, però, nel suo lacerante senso di colpa (ha spinto verso la morte nella guerra irachena il figlio ed è stato per questo abbandonato dalla moglie) e nella costante ricerca di un’impossibile redenzione – accompagnata da un crescente e apocalittico disgusto verso il mondo – non può che far pensare a personaggi schraderiani come Travis Bikle o Yukio Mishima.
«Chi può conoscere i pensieri di Dio», si chiede Toller e, in attesa di un segno dal cielo che non arriva, come il protagonista di Taxi Driver, viene spinto dalla disperazione alla ricerca di una “causa” a cui votarsi e a cui intestare la strage che conterrà il proprio martirio, sobillato dalle pagine violente e fiammeggianti dell’Apocalisse di San Giovanni, in una forma di cupio dissolvi simile a quella che in varie zone del mondo porta altri ragazzi senza pace a dare e a darsi la morte in nome di una pretestuosa interpretazione letterale di alcune pagine del Corano.
Nella via crucis di Toller, figure importanti sono un giovane ambientalista, la moglie Mary e l’industriale Edward Balq. Il primo muore per la sua volontà di “distruggere i distruttori del mondo” e trasferisce la propria passione dinamitarda nel “corpo” di Toller; Mary, figura femminile dal nome evocativo, angelo biondo portatrice di perdono e di salvezza, sarà il conforto della sofferenza di Toller; e infine il terzo, Balq, è la perfetta rappresentazione dell’ipocrisia che si annida nel cuore della nuova destra americana, che da un lato “usa” la chiesa come partner connivente per “scaricare” la propria coscienza e costruire consenso, mentre dall’altro con totale disinteresse contribuisce a distruggere “il creato” (e ogni riferimento all’attuale inquilino della Casa Bianca è puramente voluto). Difatti, la chiesa settecentesca First Refomed è ormai una mera trappola per turisti, svuotata di ogni sacralità e la sua ri-consacrazione una squallida messinscena in cui, si assicura mr. Balq, «nessun tema politico dovrà essere toccato».
Il finale, con un sorprendente e sanguinario happy end, coglie con straordinaria forza lo smarrimento di un uomo schiacciato dal silenzio di Dio e allo stesso tempo fa respirare a pieni polmoni l’aria pesante dell’America trumpiana.
Il film non ha ancora purtroppo una data di uscita italiana.