Bridgeport è una tipica città postindustriale americana. Un’oretta e mezza a nord di New York City, il centro città è per metà abbandonato, e i molti progetti di sviluppo e rivitalizzazione funzionano solo in parte. Sulla strada principale ma già vicino all’autostrada, tra gli altri edifici fatiscenti, c’è un grosso palazzo bianco, che solo un occhio attento può riconoscere per quello che è: un cinema. In realtà sarebbero addirittura due, il Majestic Theatre e il Poli Palace, una sorta di multisala ante-litteram fatta costruire negli anni venti da un impresario italo-americano, SZ Poli, proprietario di almeno una trentina di cinema nel Nord-Est degli Stati Uniti e di innumerevoli altre proprietà. Il Majestic, oltre 3000 posti, in larga parte ancora ben conservato, giace abbandonato e intristito come una balena spiaggiata ormai da diversi decenni. Qualche chilometro più su, a Waterbury, sempre nello stato del Connecticut, diverso destino è toccato al Palace, un altro dei maestosi cinema fatti costruire da Poli. Nel 2004, come tutta la strada principale di questa piccola cittadina, è stato ristrutturato, e ora ospita spettacoli teatrali, musical, opera. Il club annesso al Palace si chiama Poli club, proprio per ricordare l’impresario che lo fece costruire.

Attraverso l’Oceano

Facciamo un passo indietro, e qualche migliaia di chilometri più in là. Coreglia Antelminelli è un paesino arroccato sulle colline tra la Garfagnana e Lucca. Nel Museo della Figurina di Gesso e dell’Emigrazione c’è una foto di un compaesano illustre, Sylvester Zefferino Poli (o SZ Poli, o Zeffiro, Zefferino, Sylvester, eccetera), uno dei tanti emigranti della zona, che spesso partivano da qui per portare in giro per il mondo le figurine di gesso, di cui Coreglia era la capitale mondiale. Quando Poli, dopo un periodo in Francia, arriva negli Stati Uniti a fine Ottocento trova un paese in pieno boom economico, artistico, creativo, una vitalità unica. Fa vari lavori, tutti più o meno legati all’ambito artistico, spostandosi per varie città del nord America. Nel 1891 si stabilizza a New Haven, in Connecticut, dove ha sede l’università di Yale, e all’epoca decine di fabbriche. Tra la fine dell’ottocento e l’inizio del novecento siamo a un punto di svolta fondamentale nella storia sia dello spettacolo di massa che dell’emigrazione in America – due fenomeni, del resto, che vanno di pari passo. Se la data ufficiale della nascita del cinema è il 1895, già prima si sperimenta, mentre vanno di moda locali che ospitano un misto di zoo umani, spettacoli visuali di vario tipo, statue di cera e di altri materiali: proprio un locale come questo, il Poli’s Wonderland Theatre, sarà il primo “teatro” che Poli apre in centro città. In pochi anni poi, migliaia di italiani arrivano a New Haven e dintorni, dove le fabbriche la fanno da padrone, cambiando completamente la struttura etnica della città. Poli, divenuto nel frattempo ricco e famoso, sarà uno delle prime leason tra le élite yankee e i nuovi immigrati, e la sua festa dei 25 anni di matrimonio nel 1910 è un evento in cui queste due comunità siedono finalmente allo stesso tavolo. L’attività di questo italo-americano, perfetta incarnazione dell’American dream va avanti al di fuori dalla città di New Haven, costruendo cinema non solo in Connecticut ma anche negli stati vicini. Non si esagera a dire che Poli è uno dei pionieri del cinema americano.

Due cinema in Connecticut

Torniamo ai cinema delle due cittadine del Connecticut. Quando, nel 1937, Poli muore lascia dietro di sé qualche decina di cinema, oltre ad impero economico e immobiliare che include anche appartamenti, uffici, hotel, oltre a una bellissima villa sul mare con dodici depandances. Di alcuni ex cinema di Poli si può ancora riconoscere la trama, intuire attraverso moderni layout una gloria cinematografica passata: come l’edificio che adesso ospita un pub in College Street sempre a New Haven, proprio davanti allo Shubert Theater (un tempo uno dei più importanti di tutti gli Usa), e a pochi metri da un altro ex cinema – anche questo per qualche tempo di proprietà di Poli – recentemente diventato una sala da concerti. Ma secondo quanto scrive Donald C. King in un articolo uscito quasi quaranta anni fa (1979) sulla rivista Marquee, gli unici ancora in piedi in tutto o quasi il loro splendore sono i cinema di Bridgeport e Waterbury. Hanno due storie molto simili, inaugurati praticamente insieme e progettati dallo stesso architetto, ma anche molto diverse, specie negli ultimi anni.

Il complesso dei due cinema di Bridgeport è enorme, anche se da fuori i 5 ettari dell’area non sembrano neanche tanti, visto che l’edificio è relativamente diverso dai tipici movie palace degli anni Venti e Trenta che ancora si trovano nelle città americane. Chi scrive lo ha visitato per la prima volta diversi mesi fa, nell’ambito di un progetto di documentario su Poli: il tassista ha vagato per diversi minuti, chiedendoci il perché della nostra visita in questa zona della città, con google maps in totale confusione e nessuno a cui chiedere informazioni. A un certo punto però, appare il palazzo bianco, e qualche decorazione e un leggero colonnato ci ricordano il glorioso passato, mentre una ormai decadente scritta “hotel” segnala che il palazzo ha ospitato per qualche tempo anche un grande albergo. Aperto nel 1922, l’architetto di quest’opera Beaux Arts è Thomas W. Lamb, uno dei più importanti dell’epoca. Dal 1975 è chiuso, dopo una lunga carriera prima come vaudeville, poi come cinema normale, e brevemente anche come cinema porno. Non è rimasto del tutto inutilizzato: ogni tanto diventa set per qualche film, mentre un’associazione locale organizza tour all’interno di questo grande spazio. Rimane però semiabbandonato, e i progetti di restauro sono per ora andati falliti.

Bridgeport 2

All’interno il teatro fa ancora un’impressione incredibile: come si vede anche dalle foto che corredano questo articolo, gli affreschi dell’epoca sono ben conservati, nonostante l’incuria, e restituiscono bene il senso di cosa voleva dire andare al cinema all’epoca: entrare di fatto in un edificio simile, per certi versi, a una cattedrale. Sorprendentemente, persino le poltrone sono in buono stato, mentre i rilievi sono pregevoli quanto gli affreschi.

Si fa fatica ad immaginare come questa cittadina costiera sia stata, un secolo fa, un centro vitale economicamente e culturalmente, con una popolazione di immigrati che lavoravano e la sera (quando possibile) si divertivano nei molti teatri e cinema, con strade piene di gente e fabbriche ovunque. Rimangono adesso le rovine, anche nel centro città, proprie di una deindustrializzazione violenta che si è lasciata dietro una notevole desolazione. A Waterbury, città dell’interno del Connecticut, un tempo famosa per la lavorazione dell’ottone e la produzione di orologi, è toccato un destino diverso, grazie a grandi investimenti degli anni scorsi che hanno recuperato la zona del centro. Il Palace di Waterbury ha un impianto molto simile al complesso di Bridgeport, ma più opulento. Costruito dallo stesso architetto ma in stile neorinascimentale, ha chiuso nel 1987, anche se negli anni Settanta ha ospitato soprattutto concerti, tra gli altri di Pink Floyd, Frank Zappa, e Santana. Quando il cinema viene inaugurato, nel gennaio del 1922, è uno dei più belli di tutto il nord-est degli Stati Uniti. In entrambe le città, peraltro, Poli già aveva suoi cinema, che i due giganteschi movie palace hanno integrato o sostituito: si tratta quindi di punti di arrivo, più che di partenza. Nel 1915, ad esempio, Poli era proprietario di ben tre cinema a Waterbury.

Trovare il Palace a Waterbury è più facile, visto che svetta al centro della città, una città che vuole sembrare rinata. Il restauro di inizio anni 2000 ha riportato il cinema allo splendore passato, e i circa 200 milioni di dollari spesi per mettere mano a questo edificio e a quelli della zona hanno effettivamente cambiato i connotati della città. Il Palace ha un fascino diverso del teatro semi-abbandonato di Bridgeport, visto che parliamo adesso di un importante teatro che ospita soprattutto musical di Broadway, un pubblico folto e un giro d’affari notevole. Ben pulito, sistemato, a vederlo dall’interno, vuoto prima o dopo uno dei tanti spettacoli, è un luogo che arriva da lontano ma che sembra anche molto attuale, con i tanti segni che indicano un posto funzionale e perfettamente in salute. Ma il fascino del Majestic di Bridgeport, dove si entra cercando di non disturbare l’anima del cinema, è inimitabile.

Testo di Luca Peretti; Fotografie di Isaac J. Lipstik per Awen Films http://awenfilms.net