Difficile aprire il concorso in maniera migliore di quest’anno: con l’opera di un regista che ha avuto l’onore di vincere un Leone d’oro all’esordio per poi passare al Festival di Cannes, crescendo nell’accuratezza di sguardo di film in film. Il russo Andrey Zvyagintsev è uno dei pochi autori contemporanei che, fuggito il rischio di cadere nella maniera, ha saputo spingersi oltre per raggiungere uno stile disteso, privo di incertezze, conciliando il grande racconto di una nazione alla visionarietà d’artista.
Non stupirebbe immaginarlo alle prese con un’opera di fantascienza, perché le atmosfere in cui si muovono gli sparuti personaggi di Zvyagintsev sono sempre post-umane, a iniziare dall’isola de Il ritorno, fino alle lande glaciali di Leviathan, passando da quella dacia che si contrapponeva al caos della metropoli in The Banishment. Anche Nelyubov – Loveless si muove in uno scenario simile: nonostante la vicenda si svolga a San Pietroburgo, lo spazio urbano è ricostruito in modo da mettere in evidenza la centralità della casa (con i suoi interni) e la compresenza di edifici del passato, totalmente abbandonati, in cui fanno capolino solo le forze dell’ordine, e lussuosi appartamenti borghesi. Intorno a questi due poli si snoda la storia di una coppia di genitori in via di divorzio che vede avverarsi il proprio peggiore desiderio: non doversi più occupare del figlio dodicenne. Scomparso all’improvviso, il ragazzino non lascerà alcuna traccia, costringendo la madre e il padre a una peregrinazione senza speranza.
Composto come una serie di tappe nella Russia contemporanea, desiderosa solo di rimuovere il passato (i vecchi stalinisti sono stati isolati in campagna) e di rincorrere senza sosta un capitalismo sfrenato (fatto di corpi, rapporti e possedimenti), il film presenta la genitorialità come unico possibile antidoto alla vorticosità dei consumi. Storditi dalla eccitazione delle loro nuove relazioni, Zhenya e Boris vivono la scomparsa del figlio in maniera ovattata, incapaci di riconoscerlo tale. Il film, con una grande intuizione, infatti, si chiude con il sentirsi nuovamente, anche solo per un istante, genitori. Perché poi, sugli schermi televisivi delle loro nuove abitazioni filtra un conflitto senza risoluzione e, seppur con la morte nel cuore, si continua a dar vita al rituale di una forma fisica perfetta, nell’illusione di dominio su un pianeta dimentico dell’amore. [Daniela Persico]