I Film Festival internazionali hanno ricoperto un ruolo di primissimo piano nella produzione e circolazione del cinema cileno nel corso del decennio scorso, cosí come nella produzione e circolazione di altre cinematografie “periferiche”, ovvero di quelle industrie cinematografiche di varia provenienza e di ridotta entità che vengono “codificate ai margini dei modi di produzione, distribuzione e consumo dominanti”1. Ci si riferisce, qui, in particolar modo al ruolo egemonico della produzione hollywoodiana all'interno del mercato globale, e alla difficoltà, da parte delle cinematografie minori, di trovare visibilità e distribuzione a livello mondiale.
In questa “periferia” locale, le condizioni per poter fare cinema sono direttamente collegate, per via di una complessa serie di relazioni reciproche, a questi canali di circolazione internazionali. Essendo un canale di esibizione relativamente stabile, i Film Festival permettono la circolazione di determinati tipi di prodotti cinematografici non-mainstream e li rendono visibili a livello globale, agevolando con ció non solo il loro venire mostrati e distribuiti a livello mondiale, ma il loro stesso entrare in produzione a livello locale. A sostenere la produzione cinematografica cilena, infatti, non sono stati solo i fondi forniti direttamente da alcuni festival (come l'Hubert Bals Fund del Rotterdam Film Festival, a sostegno del “world cinema” indipendente), ma anche la possibilità di allargare l'esiguo mercato interno del Cile e facilitare l'esportazione dei film.
In maniera analoga ad altre cinematografie periferiche, è sul circuito europeo che si imperniano i circuiti principali della circolazione festivaliera dei film cileni contemporanei, e soprattutto su alcuni nodi principali quali Cannes, Berlino, Venezia, San Sebastian e Rotterdam; nonché su quelli nordamericani di Toronto o Sundance. I pattern della loro circolazione indicano un movimento che parte da una certa “periferia” (il Cile) e che, per quanto quest'ultima sia interconnessa a livello regionale da Film Festival sudamericani come Guadalajara, BAFICI o L'Avana, si dirige assai decisamente verso il “centro” situato nei nodi principali menzionati più sopra.
In tempi recenti, in virtù di questi pattern di circolazione, è possibile osservare una crescente deterritorializzazione della produzione, distribuzione ed esibizione cinematografiche nazionali. La favoriscono le reti sociali e le alleanze stipulate dai professionisti del settore in contesti come questi, che permettono loro di cercare finanziamenti e partner produttivi internazionali aumentando allo stesso tempo le chance che i loro film vengano proiettati in altri festival. Questi network sono fondamentali per come è strutturato il circuito festivaliero, che si può definire come un sistema attivo che incorpora le relazioni tra le persone e i film, e tra le persone attraverso i film. Spostandosi all'interno del circuito, i film della periferia accumulano valore simbolico ed economico, sia presi individualmente che in gruppo. Il prestigio di alcuni film cileni, ad esempio, può addizionarsi al valore di altri film cileni, i quali all'interno del circuito vengono considerati parte della stessa categoria. E, al contempo, i professionisti del settore stessi guadagnano sempre più prestigio dal processo fluido della circolazione dei film.
Nel caso dei film cileni contemporanei, essi hanno acquisito sempre più prestigio dall'interno del circuito internazionale nel suo complesso. Negli ultimi due o tre anni sono stati selezionati in tutti i maggiori festival internazionali, e svariati festival hanno ospitato programmi speciali e focus sul cinema cileno. Il formarsi di una produzione nazionale sempre più consistente e sempre più professionalizzata, sulla scia di questa circolazione intensiva lungo la rete festivaliera, ha anche fatto sì che film cileni vincessero diversi concorsi internazionali. Ad esempio nel 2012 Carne de perro di Fernando Guzzoni ha vinto la sezione New Directors di San Sebastian, From Thursday till Sunday di Dominga Sotomayor ha vinto Rotterdam, e Gloria di Sebastian Lelio ha vinto non solo il premio “Films in progress” a San Sebastian, ma è stato altresì il primo film cileno da dieci anni a questa parte in concorso principale a Berlino, dove ha vinto il premio alla miglior attrice. Il Cile ha ricevuto inoltre la prima nomination agli Oscar della sua storia, quest'anno, con No di Pablo Larrain, presentato in anteprima alla Quinzaine di Cannes nel 2012.
Questa circolazione festivaliera non è priva di nessi con un certo cambiamento nella politica culturale del Cile a partire dall'inizio del decennio scorso, un cambiamento che si è posto come proposito il potenziamento del cinema nazionale in vista dell'esportazione. Il governo cileno ha dunque incoraggiato la partecipazione cilena ai Film Festival e ai mercati internazionali, come parte di una più ampia strategia politica ed economica volta a piazzare i prodotti nazionali nel mercato mondiale, in modo da sviluppare un brand nazionale cileno2. Dal punto di vista del governo, il cinema è uno dei vari prodotti nazionali a piazzare opportunamente un certo marchio nei mercati internazionali. Il cinema darebbe dunque visibilità al Cile attraverso la costruzione di un “imagen pais” (una “immagine-paese”).
Per questo, nell'ultima decina d'anni, il governo cileno ha finanziato una delegazione nazionale affinché partecipasse ai Film Festival internazionali, specialmente quelli provvisti di un market robusto, come Cannes o Berlino. Questa partecipazione è sponsorizzata da “Pro Chile”, un'agenzia governativa che promuove l'export delle industrie cilene, unitamente a “Cinema Chile”, che promuove il cinema cileno all'estero. “Cinema Chile” favorisce attivamente gli incontri con i registi cileni nei Film Festival, gestisce le relazioni pubbliche e gli eventi per il Cile, raggruppa i film ivi realizzati o ad opera di registi cileni sotto la stessa etichetta nazionale. Gli organi promozionali della cinematografia nazionale fanno spesso riferimento al “popolo cileno” a mo' di segno distintivo, come attributo principale di questi film nel loro complesso. Non c'è l'accento su alcun “contenuto nazionale” specifico (a livello di ambientazioni, storie o estetiche), ma ad essere sottolineata è la diversità delle produzioni.
Questa promozione nazionale dei film prende forma in maniera sicuramente conforme alla struttura che promuovono i festival internazionali stessi, organizzazioni che si fondano proprio su questo tipo di distinzioni nazionali. I festival internazionali possono essere visti come lo spazio cinematografico “cosmopolita” in quanto tale, con la dicitura “internazionali” ad esprimere la loro intenzione di ospitare le cinematografie mondiali nella loro diversità, di offrire ai cineasti da zone non-mainstream la possibilità di partecipare a queste dinamiche globali e dunque “esistere”. In un contesto del genere, cineasti e produttori di tutto il mondo devono situare se stessi e i loro film all'interno dei framework festivalieri, effettuare diverse trattative transnazionali in cui si intersecano reti sociali e aspettative nazionali e internazionali. La specificità culturale di questi film viene dunque posta in essere attraverso pratiche transnazionali di ricezione e scambio. Dai professionisti cileni ci si aspetta dunque che effettuino varie operazioni culturali, utilizzando strategicamente la propria identità nazionale in modo che i film che fanno possano rientrare nella categorie che il circuito richiede, come “cileno”, “latino americano” o “universale”.
I Film Festival, quindi, non favoriscono la circolazione di qualunque tipologia di cinematografia nazionale, ma solo un certo tipo di film, che sia capace di adottare gli standard che i festival richiedono, standard che soddisfino le aspettative dei selezionatori e che rilevino di cosmopolitismo e localismo nazionale al tempo stesso. Nel caso del cinema cileno contemporaneo, e dei lungometraggi in particolare, essi sono tendenzialmente caratterizzati da un'estetica che chiamerei “cileno-cosmopolita”, vale a dire una versione cilena delle esperienze cosmopolite, che combina riferimenti simbolici locali al Cile e un'estetica più internazionale. Perciò, anche se nella produzione cinematografica cilena contemporanea vige una grande diversità, uno dei trend principali denota forme più intime e contemplative, e narrazioni non lineari. Le influenze maggiori di questo tipo di film non sono cilene, ma internazionali, e fanno riferimento a un canone di cineasti (come Godard, Kaurismaki o Jarmusch) che appartengono a una cinefilia globale condivisa. Dispiegare questo insieme di riferimenti internazionali li rende parte di un'ideale “comunità cinematografica” che non è “nazionale”, ma transnazionale.
E in effetti, i continui spostamenti all'interno del circuito tendono a rafforzare una sorta di consapevolezza di essere parte di qualcosa di più grande della propria sola cinematografia nazionale. E se i registi e i loro film girano il circuito sulla scorta di determinate etichette “nazionali”, d'altro canto in esso si può riscontrare pure un senso di liberazione dalle costrizioni della sfera nazionale. Diversamente dalla produzione cinematografica degli anni '90, ad esempio, i cineasti cileni contemporanei non si sentono obbligati a rappresentare un'immagine nazionale, né cercano di essere puramente “locali”. I loro temi, le loro estetiche e le loro strategie narrative non sono connotati in senso locale. È tuttavia un cinema che non è neanche completamente delocalizzato. I suoi autori si richiamano ancora (in maniera implicita o esplicita) alla politica cilena, ad ambientazioni e a colori cileni, e a scrittori cileni, mescolando riferimenti culturali interni ed esterni.
In alcuni casi, ciò si intreccia con tensioni culturali proprie dell'impostazione dei festival, dato che i cineasti della periferia devono negoziare le loro prassi creative in base a determinate prospettive di appoggio finanziario o di presentazione a manifestazioni internazionali. I festival, dai quali ci si aspetta che garantiscano una certa eterogeneità culturale, hanno un numero limitato di slot destinati ai film sudamericani, e i selezionatori non possono riempirli solo con film cileni o con film che non appaiano sufficientemente “rappresentativi” di quella regione, in linea con ciò che è il loro immaginario pregresso su cinema e cultura sudamericani. Il che significa che è possibile che gli operatori cileni del settore, per la circolazione di questo o quel film, scelgano specifici festival rinunciando ad altri, ad esempio quando pensano che un certo film possa non risultare adeguato ai gusti “europei”.
Le traiettorie dei cineasti attraverso i festival si intrecciano dunque con tutta una serie di significati culturali che ad esse si sovrappongono. Le definizioni di massima di cosa sia “nazionale” sono in corso di mutazione, nel momento stesso in cui gli operatori cileni del settore si relazionano all'esperienza globale dei Film Festival e a iter produttivi locali della specie citata. I Film Festival, in quanto spazi “cosmopoliti”, modellano le cinematografie mondiali in un senso al contempo di totalizzazione e particolarizzazione. Essi ricostruiscono un'idea universale di “world cinema” che si regge tuttavia su di un insieme ben definito di differenze culturali espresse in categorie nazionali. I Film Festival internazionali pertanto promuovono un certo tipo di comunità immaginate transnazionali, e allo stesso tempo rafforzano, all'interno dei propri contesti, le identità nazionali.
(traduzione di Marco Grosoli)
1 D. Iordanova et alii, Cinema at the Periphery. Detroit: Wayne State University Press, 2010, p. 9.
2 Cfr. R. Trejo, Cine, Neoliberalismo y Cultura. Critica de la economia politica del cine chileno contemporaneo. Santiago del Cile: Editorial ARCIS, 2009.