Il film di Ozon si presenta come un’opera stratificata, dai segni plurimi, un’esplosione di significati quasi delirante se li si paragona alla compostezza e alla pulizia dell’immagine che li produce. La dimensione dei rimandi (letteratura in primis) e dell’oltre (dal metacinema alla metanarrazione, alle varie dicotomie presenti) è qui inestimabile, ma spesso, come suggerisce il freddo finale degli sguardi dei protagonisti su di un palazzo, che didascalicamente si concede al più spavaldo voyeurismo, rischia di perdersi in una miscellanea di senso che abbaglia e inficia quella che invece può (e deve) essere la struttura portante di quest’opera: il desiderio, del racconto, di raccontarsi e di essere raccontati. Il cinema, col suo flusso inarrestabile di narratività, col suo profondo legame con l’analogon del reale che racconta per forza, non può sottrarsi ad essere ontologicamente il principale veicolo di dimostrazione artistica di tale desiderio di vita. Ne siano da esempio, nel film di Ozon, le tutt’altro che banali sequenze accelerate, poste all’inizio del film, riguardanti l’ingresso degli studenti nel liceo.
Claude proviene da una famiglia disagiata, scrive un tema in cui racconta di essere stato a casa di un compagno di classe, dove ha conosciuto la sua famiglia benestante e soprattutto Esther, la seducente madre borghese dell’amico. Il suo professore di lettere ne rimane affascinato e sollecita il ragazzo a ritornare, sempre più spudoratamente, nella casa, per poi scriverne nuovamente.
Lucidamente si prestano a chiarirci questa dimensione del racconto le tesi elaborate da Peter Brooks nel suo pregevole "Trame. Intenzionalità e progetto nel discorso narrativo", dove le teorie freudiane presenti in "Al di là del principio di piacere" vengono sfruttate per un’ermeneutica del racconto. Come tutto ciò che è vivo tende naturalmente alla morte, sostiene Brooks, anche lo scopo di un racconto sta nella sua tensione verso la conclusione. La sovrapposizione (e confusione, come accade anche in Nella casa) della trama con la reale esistenza comporta anche una commistione tra i flussi che generano l’esistenza di entrambe. Come nella vita, quindi, Eros e Thanatos si confrontano per forza anche nel racconto. Pulsioni vitali, desideri che rimadano ad altri desideri, che producono deviazioni rispetto alla strada maestra, dilatando il tempo e lo spazio, per “prolungare così la durata del cammino” – come afferma Freud – creando appunto un’esistenza (in questo caso una storia).
Claude desidera una famiglia borghese, poi desidera una madre e infine desidera semplicemente una donna. L’odore della donna borghese – un istinto animalesco, un fortissimo richiamo sessuale – è il motore della vita e (quindi) della narrazione, è l’attrazione fatale della mise en abyme di tutti i protagonisti nei vortici del racconto, un reciproco gioco della seduzione tra il talentuoso allievo e il maestro (non a caso interpretato da Fabrice Luchini, attore affermatosi grazie alle regie di Rohmer, considerato da Ozon appunto uno dei suoi maestri) e tra il film e lo spettatore. Attrazione e passione che obnubila la ragione di un insegnante (e – almeno dovrebbe – dello spettatore) fino a farlo tradire la sua stessa mission di insegnante. Tradimento quasi doveroso perché le pulsioni non possono conoscere fedeltà. Non resterà immune al richiamo dell’odore della donna borghese nemmeno Jeanne (Kristin Scott Thomas) la moglie di Germain, rappresentante con il suo amorfo approccio all’arte postmoderna, tanto quanto Esther, dell’inciviltà (nell’accezione freudiana) borghese.
Quando il desiderio per Esther (una sorta di madame Arnoux) sta per svanire, l’attenzione si sposta su Jeanne, ultimo oggetto del desiderio della balzachiana Pelle di Zigrino che si sta inevitabilmente accorciando, in vista dello scacco finale. I due protagonisti, l’allievo e il maestro, si ritroveranno infine insieme, soli, sconfitti e privi di desiderio, classici tratti caratteristici dei personaggi flaubertiani, a guardare la volgarità di un edificio che si offre senza pudore allo sguardo dei protagonisti/spettatori.
Nella casa (Dans la maison), regia di François Ozon, Francia 2012, 105'.