In una delle sue ultime opere – il trailer girato per la Viennale di quest’anno – Chris Marker ha ipotizzato l’esistenza dello spettatore perfetto, agognato fin dalle origini del cinema: Bin Laden che, platonicamente prigioniero della propria caverna, fissa lo schermo televisivo su cui si inseguono le sagome di Tom e Jerry. Con il consueto distacco ironico, il cineasta francese recentemente scomparso ha sigillato la messa in crisi dell’immaginario occidentale post-11 settembre su cui tanti teorici si sono soffermati nell’ultimo decennio. Marker, come Godard, ha spalancato la strada a una modalità autoriflessiva dell’audiovisivo che oggi è più attuale che mai. E se in Italia manca ancora uno studio della critica cinematografica per mezzo dell’immagine (fatta eccezione, forse, per le incursioni notturne di Ghezzi & Co. su Fuori Orario), ci è parso doveroso portare allo scoperto una pratica ormai ampiamente diffusa in ambito internazionale, della quale proprio Marker va considerato un precursore. Il rapido (ma approfondito) sopralluogo in un territorio per lo più ignoto è stato possibile anche grazie al lavoro di Laura Rascaroli, studiosa del cinema in prima persona, e Catherine Grant, curatrice della rivista online Frames e ideatrice del canale Audiovisualcy.