Trovando una nuova apertura nel confine tra cinema di finzione e documentario, la coppia di cineasti si diverte a svelare la potenza ambigua e polisemantica delle immagini, costruendo un poema nostalgico sui fantasmi di una città sognata in infanzia. Li abbiamo incontrati, nell'accogliente atmosfera che offre il Festival di Locarno, per ripercorrere le tappe di questa particolare creazione e dello stato del cinema in Portogallo.
Com'è iniziata la vostra collaborazione?
Joao Pedro Rodrigues: Joao Rui è stato il protagonista del mio primo cortometraggio, Parabénes! (Happy Birthday!, 1997), e in seguito ho cominciato a lavorare con lui come art director. Cerco sempre di lavorare con le stesse persone e Joan Rui è una di queste, il mio direttore della fotografia è quasi sempre lo stesso, così come il sound designer. In questo modo ci sono meno discussioni sul set, non perché non si discuta di come fare le cose – anzi, sono molto preciso, pignolo – ma voglio dire che ci si capisce meglio, che quando spiego una cosa gli altri sanno esattamente cosa intendo. Nel 1997 Joao Rui ha scritto la sceneggiatura per un corto intitolato China, China da farmi dirigere e quando abbiamo cominciato a preparare il film abbiamo capito che dovevamo firmare entrambi il film, dirigerlo insieme. Poi ci sono stati Morrer como un homen (Die Like a Man, 2009) e Alvorada vermelha (Red Dawn, 2011).