Adebar di Peter Kubelka (1957)
Afrique 50 di René Vautier (1950)
Aguaespejo granadino di José Val del Omar (1955)
Balle traversant une bulle de savon di Lucien Bull
By the Bluest of Seas di Boris Barnet/S. Mardanin (1935)
London '66-'67 – Pink Floyd di Peter Whitehead (1967)
Nothing But the Hours di Alberto Cavalcanti (1927)
Profit & Nothing But! Or Impolite Thoughts on the Class Struggle di Raoul Peck
Timeless, Bottomless, Bad Movie di Jang Sun-woo (1998)
Two-Lane Blacktop di Monte Hellman (1971)
Non abbiamo ancora visto i film più importanti del ventesimo secolo: i film tedeschi sui campi di sterminio (anche se era proibito girarli); i film russi sui Gulag (Solzhenitsyn pensava non li avessero mai girati); i film cinesi sui campi di lavoro, che Wang Bing ha finalmente cominciato a girare; i film scientifici sulla scissione dell'atomo; i film su quei lavoratori che, alla fine del diciannovesimo secolo, non lasciarono mai la fabbrica e vennero fatti a pezzi nei mattatoi di Chicago. Così la mia non è altro che una lista provvisoria che dedico a Dans la brousse annamite (1934) di André Sauvage, un film mutilato dall'industria in maniera abominevole, su una possibile traccia di Paradiso in terra. Insieme a Balle traversant une bulle de savon scelgo tutte le lastre, le strisce e i film di Thomas Edison, Eadweard Muybridge, Etienne-Jules Marey, Lucien Bull e Georges Demeny; i film scientifici di Docteur Comandon, Jean Painlevé, Maurice Françon, Alexis Martinet, Yves Berthier; tutti i film in slow motion, a cominciare da Gradiva di Raymonde Carasco; e tutti i film della durata inferiore al minuto che hanno inventato un modo nuovo di descrivere il mondo. Insieme a Nothing But the Hours scelgo gli altri film sulla storia delle forme cinematografiche che hanno inventato maniere singolari di approfondire le immagini: i saggi visivi di Al Razutis, Tom Tom the Piper’s Son di Ken Jacobs e tutti i film di Ken Jacobs, The Politics of Perception di Kirk Tougas, Histoire(s) du Cinéma di Jean-Luc Godard; i film di Dziga Vertov, quelli del Gruppo Dziga Vertov e del Cintéhique Group, quelli di Harun Farocki, Hartmut Bitomsky, Andrei Ujica, Carolee Schneeman, Rui Simoes, Michael Klier, Jayce Salloum, Thom Andersen, Tony Cokes, William E. Jones, Marc Tribe, Mauro Andrizzi… By the Bluest Seas e tutti quei film in cui brilla il mare, a cominciare dai film bretoniani di Jean Epstein (Lor des mers, Finis Terrae, Mor’Vran…), passando per Stan Brakhage (A Child’s Garden e The Serious Sea), Gérard Courant (A propos de la Gréce), Ange Leccia e Dominique Gonzalez-Foerster (Ile de Beauté), i film di Peter Hutton; tutti i film che hanno scoperto nuove maniere di descrivere il paesaggio, come quelli dei Lumiére, a.k.a Serial Killer di Masao Adachi, Too Early Too Late di Jean-Marie Straub e Daniéle Huillet, West of the Tracks di Wang Bing… Afrique 50 – e i film attivisti e di contro-informazione di Joris Ivens, René Vautier, Chris Marker, i Newsreel, i cinegiornali, i film di de Antonio, Edouard de Laurot, Fernando Solanas e Octavio Getino, Guillermo Escalon, il Groupe Medvedkine, Anand Patwardhan, Carole e Paul Roussopoulos, Lech Kowalski, John Gianvito e molti altri collettivi sparsi nel mondo; Aguaespejo Granadino – e quei film che hanno inventato i loro propri strumenti e dispositivi: Abel Gance, Wavelength di Michael Snow, i films di Karel Doing, Joost Rekveld, Jérôme Schlomoff, Jacques Perconte; tutti i film realizzati senza la macchina presa, con pochi soldi e tanta genialità, da Len Lye a David Matarasso, passando per Maurice Lemaître, Jean-Pierre Bouyxou e Cécile Fontaine. Adebar – e i film metrici e strutturali di Peter Kubelka, Paul Sharits, Malcolm Le Grice, Peter Gidal, Mike Dunford, Wilhelm e Birgit Hein, Peter Tscherkassky, Siegfried Frufhauf e altri; e tutti quei film in cui i corpi sono ombre danzanti, da Emile Cohl e Georges Méliés a Lotte Reiniger, da Gjon Mili a John Woo (nel suo periodo hongkonghese), da Vampyr di Dreyer a Ronald Nameth e Patrice Kirchhofer. London 66’-67’ – e tutti quei film i cui autori sono anche musicisti e poeti (Jonas Mekas, Ana Hatherly, Maurisio Kagel, Pierre Clémenti, F.J. Ossang, Marc e Eric Hurtado); quelli i cui autori hanno anche composto le musiche (Selva di Maria Klonaris); e quelli creati a partire da una canzone o un brano musicale (come P'tite Lilie di Alberto Cavalcanti, The Cradle di Dimitri Kirsanov, San Francisco di Anthony Stern). Two Lane Blacktop – e tutti quei film che hanno creato il proprio mondo nel nome dell'amour fou, di Buster Keaton, Tod Browning, Jean Vigo, Robert Bresson, Marcel Hanoun, John Cassavetes, Chantal Akerman; il contributo omonimo di Jacques Rivette; Pakeezah di Kamal Amrohi; Green Snake di Tsui Hark; Tabu di Nagisa Oshima; più quelli di Peter Emanuel Goldman, Jean Eustache, Philippe Garrel, Christian Boltanski, R.W. Fassbinder, P.P. Pasolini, Philippe Grandrieux, Abel Ferrara, Patricia Mazuy, Virginie Despentes e Coralie Trinh-Ti, Jia Zhang Ke, Larry Clark, Gus Van Sant, Vincent Gallo. Timeless, Bottomless, Bad Movie – e quei film che hanno fatto esplodere e riassemblato forme cinematografiche con tale energia da rendersi unici e sembrare fuochi d'artificio del reale, come quelli di Teinosuke Kinugasa, Luis Buñuel, Jean Vigo, Mario Peixoto, Santiago Alvarez, Peter Watkins, Lionel Soukaz, Toshio Matsumoto, Masanori Oe, Djibril Diop Mambéty, Jia Zhang-ke, Cheick Oumar Sissoko. Profit & Nothing But! Or Impolite Thoughts on the Class Struggle – e quei film che non trattano tanto la guerra quanto l'essere essi stessi in guerra e si sforzano di fornire strumenti e istruzioni ai combattenti: Sciopero di Eisenstein, Cocktail Molotov di Holger Meins, The Red Army/FPLP di Masao Adachi, Declaration of World War, Ma 6-T va crack-er di Jean-François Richet, Battle Royale di Kinji Fukasaku; e quei film che non sono stati fatti da cineasti “professionisti” ma piuttosto da cittadini, come October in Paris di Jacques Panijel (1962) o Douglas Bravo di George-Henri Mattei (Venezuela, 1970).
(Per gentile concessione dell'autrice. Traduzione di Alessandro Stellino)