Circa 30 anni fa, mi sono trovato a trascorrere un week-end a casa di amici sulla North Shore, Long Island. A questo party improvvisato era presente anche un docente di cinema della Sorbona che non conoscevo. A un certo punto, il padrone di casa incaricò me – al tempo dirigente in un settore ancora in erba come quello dell’home video – e, per ovvie ragioni, il Professore di recarci alla videoteca locale per scegliere qualche buon titolo in vhs. Dopo una rapida analisi fui costretto a dichiarare, storcendo il naso, che l’offerta era davvero scadente. Al che il mio accompagnatore cinefilo rispose: “Non credo di aver capito cosa intenda con ‘scadente’, ma spero tu sia consapevole del fatto che, solo dieci anni fa, questo negozio sarebbe stato una delle dieci migliori cineteche al mondo”.
In quel momento compresi che, ai tempi antichi delle modeste VHS, l’industria del cinema aveva collocato tesori cinematografici di inestimabile valore in quasi ogni angolo di strade urbana. Ogni negozio poteva contare su migliaia di titoli, ovvero tutta la recente robaccia hollywoodiana. Ad ogni modo, il fatto era rivoluzionario. Solo dieci anni prima provavo enorme soggezione nei confronti di un amico che possedeva una copia in 16mm di Il conformista e la sfoggiava ogni anno in occasione di un appuntamento cinefilo casalingo.
Passiamo velocemente al 1997: l’alba dell’era del DVD. Il punto non era solo che il formato fosse più conveniente, offrisse una superiore qualità audio e video migliore e avesse maggiore longevità: a suo favore c’era anche la possibilità di stamparne ampie quantità a basso costo. Questo portò a un cambiamento cruciale nell’attitudine del consumatore: i DVD venivano soprattutto acquistati, non affittati. Certamente, molti preferiscono ancora affittare un film piuttosto che possederlo, tuttavia l’indubbia scomodità legata al fatto di uscire di casa per scegliere un titolo e poi doverlo restituire – pagando un sovrapprezzo per l’eventuale ritardo di riconsegna – ha reso i tempi maturi per un sistema di noleggio affascinante quanto il noleggio stesso.
Appena due anni dopo la diffusione del DVD, alcuni personaggi della Silicon Valley (dove altrimenti?) iniziarono a ragionare sull’incremento esponenziale del numero di persone con accesso a Internet che potevano risparmiarsi la tradizionale sortita alla videoteca locale e sulla possibilità di rendere accessibile online un catalogo pressoché illimitato di titoli. Quanto alla modalità di fruizione e riconsegna, la soluzione era semplice: il servizio postale statunitense.
Oggi, a oltre 11 anni di distanza dal lancio di Netflix, tutto ciò sembra assolutamente logico. Ma, tra il 1999 e la fine del 2002, Netflix ci rimise 150 milioni di dollari nel tentativo di implementare il servizio. Si era dato da fare per raggiungere un milione di clienti in tre anni, e da allora fu in grado di offrire alla propria clientela una scelta di 14.500 titoli diversi, tra film e programmi televisivi. Presto quella perdita si sarebbe trasformata in un enorme successo finanziario.
Ma non è di questo che vogliamo parlare. Per quanto fuori moda possa sembrare, questa è una lettera da parte di un amante del cinema di vecchia data all’azienda ha messo nelle mani di ogni americano, e recentemente anche ogni canadese, per un canone mensile di 10 dollari, il patrimonio cinematografico mondiale, dall’epoca del muto ai giorni nostri. Se anche voi fate parte degli oltre 20 milioni di abbonati a Netflix, probabilmente saprete bene ciò di cui sto parlando, sebbene abbia il sospetto che anche il più fedele tra voi sarebbe sorpreso di sapere quali tesori siano disponibili al solo clic del mouse. E se siete appassionati di cinema ma non state sborsando quei 10 dollari, sono qui per mettervi in guardia su quanto ciò che potreste star perdendo.
Netflix è l’apoteosi di ciò che gli esperti di marketing definiscono “coda lunga”. Si tratta di un’espressione coniata da Chris Anderson in un articolo apparso nel 2004 su Wired Magazine. In breve, spiega in che modo l’economia di Internet consenta ad aziende come Netflix di servire efficacemente anche i mercati più piccoli. Le considerazioni sull’ingombro e sulla disponibilità che un tempo guidavano le decisioni relative all’intrattenimento “popolare” ormai non hanno più valore. La mole dell’offerta di Netflix – oltre 100.000 titoli, il 70% dei quali film, il resto serie e programmi TV – rende evidente come il catalogo vada ben oltre il panorama standard hollywoodiano.
Netflix offre la possibilità di visionare il film a casa propria, nella maggior parte dei casi tramite spedizione a domicilio ed entro 48 ore dall’ordine. Consente inoltre ai suoi abbonati di scegliere tra un numero sempre crescente di titoli in streaming direttamente sul televisore, via Internet. So bene che c’è ancora un ristretto gruppo di puristi convinto che la qualità non sia la stessa di una copia stampata, ed effettivamente hanno ragione. Ma la rivoluzione multimediale cui stiamo assistendo riguarda la libertà di ciascuno dalle imposizioni altrui di spazio e tempo. E ricordate: stiamo parlando di guardare i film su uno schermo piatto ad alta definizione di 40 o più pollici, ora in offerta a 500 dollari presso qualsiasi punto vendita Best Buy. Aggiungetevi un paio di ottimi diffusori da 200 dollari e avrete il vostro “home theater”.
Ora, consentitemi di darvi un’idea della straordinaria offerta di Netflix. Le considerazioni che seguono derivano dall’analisi approfondita e assolutamente arbitraria di questo forziere senza fondo per l’appassionato di cinema. Come potrete immaginare, i vari Hitchcock, Truffaut, Bergman, Hawks, Fellini sono ampiamente contemplati. Piuttosto che tediarvi con i dettagli relativi alla mia ricerca, nominando ogni singolo titolo o regista presente a catalogo, preferisco stimolare il vostro appetito con alcuni canapè in menu. Ecco qualche nome scelto a caso tra i registi di cui Netflix copre l’intera carriera, fatte salvo alcune, trascurabili eccezioni: Samuel Fuller, Jack Hill, John Sayles, David Gordon Green, Ronald Neame, Nicolas Roeg, Jean-Pierre Melville, Louis Malle, Olivier Assayas, Seijun Suzuki, Kinji Fukasaku, Mario Bava, Aleksandr Sokurov, Béla Tarr, Lukas Moodysson, Wong Kar Wai, Kim Ki-duk, Arturo Ripstein, Ram Gopal Varma, Amos Gitai e Guy Maddin. Vi bastano? Credo non vi sia altro da aggiungere.
Ma nel futuro di Netflix c’è dell’altro, qualcosa che scalderà il cuore degli appassionati più di quanto non facciano i successi registrati finora dall’azienda. Sto parlando del concetto di streaming. Netflix è oggi in grado di offrire i suoi titoli direttamente su computer, console o – ancora più importante – su televisore. Mai più buste rosse, DVD in buca o attese di un giorno o due.
Grazie allo streaming, la promessa di lunga data del “video on demand” è ora realtà. Molto semplicemente, Netlfix sta ai film come iTunes sta alla musica, ma con una grande differenza: la scommessa di iTunes era che la gente acquistasse e possedesse le canzoni singolarmente. Netflix ha operato una scommessa al contrario, ovvero che la strada da percorrere – e anche quella privilegiata dal consumatore – fosse un canone mensile “tutto compreso” che consentisse di visionare un film senza bisogno di pagare un importo superiore per conservane una copia digitale.
Il fascino popolare dell’approccio Netflix è evidente: nel tentativo di ottenere la stessa supremazia di cui gode nella musica con la diffusione dei film attraverso Internet, Apple ha concluso accordi con tutte le case di distribuzione per offrire il download (mediante acquisto) o lo streaming (mediante noleggio) su base singola, vale a dire per titolo. Questo metodo, detto “à la carte”, è piuttosto diffuso tra gli Studios, nonostante i consumatori statunitensi lo ritengano un fallimento.
L’anno scorso sono stati spesi circa 200 milioni di collari per l’acquisto di film su iTunes (al prezzo medio di 12 dollari ciascuno) e circa 45 milioni di dollari per il noleggio, a un costo approssimativo di 3 dollari a visione. In confronto, Netflix otteneva un giro d’affari pari a 2,2 miliardi di dollari dai suoi abbonati felici di pagare, lo scorso anno, una media di 12,19 dollari al mese (contro i 20,21 dollari del 2003) per un’abbuffata senza limiti all’imbandito tavolo cinefilo.
L’iscrizione a Netflix consente oggi di accedere istantaneamente a 35.000 titoli disponibili per lo streaming a soli 8 dollari al mese. Con due bigliettoni in più, si ha inoltre diritto a un titolo a noleggio via posta ordinaria. Un’opzione fortemente consigliata, poiché la maggior parte dei classici sono attualmente disponibili soltanto su supporto DVD. Anche questo, però, sta rapidamente cambiando: Netflix ha annunciato, entro i prossimi due anni, contratti per la diffusione streaming con Warner Bros, Universal, Paramount, MGM, Lionsgate, Fox, NBC, ABC, Disney, MTV, oltre a diverse case di produzione indipendenti. E poiché i loro prodotti, e soprattutto i loro cataloghi, si stanno rapidamente facendo strada nel sistema Netflix, l’offerta via streaming sarà presto pari a quella attualmente in DVD.
Come funziona tutto ciò? Non aspettatevi certo che ve lo spieghi il sottoscritto, poco esperto di tecnologia. Sarà sufficiente che vi rechiate nel negozio di elettronica più vicino e acquistiate, a meno di 130 dollari, un lettore Blu-ray predisposto per Netflix. Il venditore sarà lieto di spiegarvi come collegarlo al televisore per guardare film in streaming la sera stessa. Oggi sono disponibili un’infinità di marchi e modelli compatibili con l’offerta Netflix, tra questi, anche dispositivi mobili come iPad e iPhone. Prima di chiedervi chi guarderebbe mai un film su uno schermo da 3 pollici, ricordate che buona parte del fatturato streaming Netflix deriva dagli show televisivi e da quel pubblico giovane che non giudica ridicola la visione di contenuti su apparecchiature portatili.
Netflix è entrato a far parte di ciò che viene definito, a ragione, un circolo virtuoso: i suoi 20 milioni di abbonati e i circa 200 milioni di dollari al mese di introito rappresentano un’enorme sfera d’influenza per tutti i proprietari di contenuti multimediali, primi tra tutti gli Studios (il loro odio, in un certo senso positivo, nei confronti di Netflix non ha tanto a che fare con i minori introiti legati alla presenza della nuova compagnia, quanto al fatto che Netflix sia arrivato a ottenere, nel giro di un decennio, il controllo dell’intero sistema di distribuzione digitale di film e programmi TV). Nel 2010, l’azienda ha versato oltre 400 milioni di dollari per assicurarsi i diritti per la diffusione in streaming di una vasta gamma di contenuti, una cifra quasi certamente destinata ad aumentare nell’anno in corso. Nessun altro concorrente può eguagliarne il potere d’acquisto. Per usare le stesse parole che Ted Sarandos, funzionario responsabile dei contenuti di Netflix, ha proferito al sottoscritto: “Non mandiamo in onda i programmi: le nostre trasmissioni raggiungono singolarmente un pubblico ampio e variegato”.
L’importanza di Netflix mi è divenuta particolarmente chiara lo scorso settembre, durante il New York Film Festival. Uno degli eventi collaterali dell’edizione 2010 fu una retrospettiva dedicata al regista Masahiro Shinoda. Ebbi occasione di lavorare con lui a quello che sarebbe stato il suo ultimo film, Spy Sorge. Quando seppi della sua presenza in sala in occasione della proiezione di una delle sue opere degli anni Sessanta più note, Pale Flower, ho invitato Shinoda a unirsi a me e a mia moglie per cena. Accettò, ma mi disse di non aver intenzione di vedere il film per l’ennesima volta, proponendomi di incontrarci al termine della proiezione. Non intendevo far attendere due ore questo amabile ottantenne, così suggerii di recarci al ristorante subito dopo la sua presentazione, prima che Pale Flower venisse proiettato.
Ciò significava però che avrei perso uno dei pochi film di Shinoda che non avevo ancora visto. Con leggero rammarico, misi in atto un nuovo piano. Rientrando a casa alle 22, dopo la cena in un ristorante cinese, pensai di verificare se Pale Flower fosse disponibile in streaming su Netflix. Miracolosamente lo era, per cui mi sistemai comodo per ammirare questo splendido film in un nitido bianco e nero sul mio televisore ad alta definizione. Il giorno dopo, di fronte a mia figlia di 8 anni che mi chiedeva insistentemente di guardare Mamma, ho preso il morbillo, sempre grazie a Netflix, penso di avere compreso appieno il significato di “coda lunga”.
*Roger Smith è un ex dirigente nell’industria dell’intrattenimento, ora consulente su diverse questioni che riguardano il settore. È felicemente abbonato a Netflix dal 2003.
(pubblicato originariamente su Film Comment, vol 47, n. 3, maggio-giugno 2011; traduzione di Christian Olivo)