Chun Tao ha un nome da domestica, e quando glielo dicono si irrita e risponde fiera e indispettita, ma poi suggerisce di chiamarla Ah Tao, che tutti sembrano concordare suoni molto meglio. Chun Tao è davvero una domestica, ma non una qualunque: è una maestra di premure, una cuoca eccezionale e una donna profondamente buona (pur con le sue preferenze e simpatie), al punto da essere generosa anche con il compagno d’ospizio che finge (ma lei gli vede attraverso) di aver bisogno di soldi per le medicine destinati invece ad andare a donne.
Ann Hui, ispirandosi a fatti e persone reali, racconta gli ultimi mesi di vita di Chun Tao con affetto e partecipazione, occasionalmente ne accompagna la sorte con un commento sonoro, ma più spesso lascia da parte espedienti ed estetizzazioni, rinuncia a montaggi alternati e colpi allo stomaco preferendo un tono piano, dove la tristezza di certi ambienti e situazioni è alleggerita dall’ironia della donna e di chi le sta vicino. Persino i molti camei di grandi figure del cinema hongkonghese, da Tsui Hark a Sammo Hung nel ruolo di loro stessi, e le parti piccole e grandi delle star Anthony Wong e Andy Lau, non distraggono e paiono naturali.
La Hui, del resto, non è nuova a questo tipo di operazione: dai tempi dei lavori televisivi dalla New Wave hongkonghese fino, per esempio, a The Way We Are del 2008, dove era ancora più minimale nel raccontare la vita di tutti i giorni di una nonna, tra il nipote, la cucina e il fare la spesa. A Simple Life evita infatti i luoghi più triti del sottogenere senile: non c’è il lungo strazio della malattia (la preferita dal cinema recente è senza dubbio l’Alzheimer), non c’è il tormento dei familiari o il loro disinteresse da mettere sotto accusa, non c’è insomma uno spirito di denuncia sulla condizione degli anziani. E nemmeno si punta il dito contro lo sfruttamento sociale di una figura come la domestica o contro i genitori abbienti e assenti per ragioni di carriera. Nessuna tesi piega la narrazione e anzi l’affetto da cui è circondata l’anziana domestica sarebbe quasi stucchevole, se non fosse calato in immagini e sequenze mai artefatte, che non si tirano indietro di fronte al dolore e allo squallore.
È in questo che Ann Hui gira da vera maestra, trovando un difficilissimo equilibrio tra la tragedia ineluttabile di anzianità e malattia e l’agnizione della commedia, dove il personaggio di Andy Lau capisce di amarla come e forse più di sua madre, senza il bisogno di alcuna scena madre a dichiararlo. Con un passo pacato e un respiro lieve, la Hui ci accompagna verso la cosa più naturale del mondo: la fine della vita. E, una volta tanto, che si parli di cinema, non è un vezzo metatestuale e postmoderno, ma pura testimonianza di verità.