LIBERI DI NON PARLARE DI CINEMA
Tanto rumore per nulla, ripetono i quotidianisti. Tante parole per nulla, gli rispondiamo.
I buoni film in programmazione (giusto Il Manifesto ha speso qualche parola su Photographic Memory di Ross McElwee, il più interessante della giornata) passano in secondo piano non solo di fronte ai film in concorso (Polanski, Garrel) ma anche, e soprattutto, al cospetto del nudo della Bellucci in Un été brulant.
Le cheerleader fanno a gara per pubblicare la notizia della sòla (“La farsa del nudo della castigata Bellucci”, Il Giornale) ma poi spendono migliaia di battute a favore di una inutile quanto risaputa filmografia discinta dell’attrice.
Valerio Cappelli (Corriere della Sera) parla di “una posa artistica e pudica alla Canova” e non tarda a sottolineare che “l’attrice in passato ha esibito in maniera naturale e generosa il proprio corpo”, ma si limita a citare Irreversible, L’ultimo capodanno e Malèna. Più scrupolosa Alessandra Menzani di Libero che al grido di “La Bellucci nuda, dov’è la novità?” si prende ben mezza pagina per passare al vaglio l’intera carriera della modella/attrice per elencare con dovizia di dettagli “almeno dieci film, italiani e non, in cui mostra al suo pubblico il suo lato migliore, che come tutti sanno non è la recitazione”. Tirando gratuitamente in ballo la fellatio (“vera”) di Chloe Sevigny a favore di Vincent Gallo in The Brown Bunny, la cheerleader non nasconde l’invidia nei confronti della Bellucci (che il livore nasca tutto da qui?) “che si spupazza il figlio del regista, Louis, di vent’anni più giovane, nella vita fidanzato con la sorella di Carla Bruni” (che ha un nome: Valeria). Da La riffa a Shoot ‘em Up, passando per L’appartamento, Under Suspicion e, ovviamente, Malèna, i film vengono scrutinati al microscopio con ironia volgare (specie nel suo non essere divertente): sarà anche vero che “ormai il pubblico dovrebbe averci fatto il callo ai suoi exploit” ma è ancora più vero che i calli peggiori, nel loro essere ormai indolori, sono quelli provocati dall’ingombrante presenza di articoli come questi sulle pagine di un quotidiano (benché Libero) e non sui giornaletti scandalistici.
[Ma sul medesimo quotidiano sarebbe da leggere per intero anche l’assurdo “Polanski santificato. Ipocrisia a Venezia”, in cui Francesco Borgonovo, ossessionato dalle vicissitudini legali del regista, riconosce che “il film è bello, cattivo quanto basta” ma poi parte in un’interminabile filippica che, oltre al diretto interessato, chiama in causa i colleghi giornalisti, “tutti bravi borghesi seduti lì a crogliolarsi nell’ipocrisia”. Perché c’è ancora chi contro la santificazione propone la crocefissione. Dimenticando che in fondo sono un po’ la stessa cosa].
Ferzetti (Il Messaggero) è l’unico a prendere spunto dalla notizia obbligata (“pittoresca opulenza” della Bellucci) per difendere il regista, Philippe Garrel, e parlare del film. La difesa, però, è del tipo malinconico e testardo di chi si appiglia – ancora – alla politica degli autori nella sua forma più vetusta: “anche se non è certo il suo miglior film, questa storia d’amore e di amicizia contiene qualche bel momento e una fedeltà tanto ostinata al proprio mondo da essere toccante”. Condivisibile il giudizio finale: “estremo atto d’amore […] e omaggio al coraggio dei padri, reso da una generazione che sognava la rivoluzione ma non ha mai fatto una guerra”.
Si contano sulle dita di una mano quelli che si sforzano di dire qualcosa sui film senza prendere parte alla coreografia degli scodinzolanti critici pon-pon.
Chiunque altro si senta Libero di non parlare di cinema.