Fu Anna O., la paziente-chiave di Sigmund Freud, ad associare al metodo catartico l’immagine dello spazzare il camino, alludendo all’emancipazione di una psiche liberata dalla propria “lordura” patogena. Sembra proprio partire da questa figura della psicanalisi il nuovo film di Ramon Zürcher, Der Spatz im Kamin (The Sparrow in the Chimney), capitolo conclusivo di una trilogia sulle relazioni umane aperta da Das merkwürdige Kätzchen (The Strange Little Cat, 2013) e proseguita con Das Mädchen und die Spinne (The Girl and the Spider, 2021), interamente costruita in coppia con il fratello Silvan, qui produttore dopo una prova da co-regista. Al contempo, è l’elemento animale a tenere insieme questi titoli – attenzione, indipendenti gli uni dagli altri: evocato, messo in scena, reiterato con ironica inventiva, ecco segnare un’ulteriore grande vocazione dei due autori svizzeri, quella espressionista, per la quale ogni segno del racconto e (soprattutto) dell’immagine si fa sintomo del proprio, oscuro, contraltare.
Chi potrebbe essere il passerotto intrappolato nel camino, la figura sospesa tra due mondi e due tempi, tra il vecchio e il nuovo, l’idillio e l’inferno, se non Karen, austera madre di famiglia che come spettatrice impotente assiste al collasso della sua vita in una splendida tenuta di campagna, ereditata dalla generazione precedente con tutto un carico di traumi annessi? Oggi teatro di schermaglie violente o soffocate manifestazioni di intolleranza coi tre figli e il marito Markus, la casa rappresenta, come nelle precedenti opere degli Zürcher, un luogo fisico e insieme mentale, una cornice claustrofobica, con quei corpi tesi ad occupare sempre i punti di fuga, eppure completamente liquida, dove ciascuno è costante preda dello sguardo altrui. Specialmente quando a moltiplicare il numero delle presenze sono l’estroversa sorella di Karen, Jule, suo marito e un figlio appena nato, pronti ad infiammare un quotidiano già sufficientemente problematico. Per non citare la giovane dog sitter Liv che, dirimpettaia della famiglia, ogni tanto fa capolino sulla soglia portando nuovi non detti e disarmanti segreti…
Tentare di ricostruire la dinamica disfunzionale di questa famiglia allargata, fatta di scambi verbali al vetriolo e improvvisi ribaltamenti di ruolo condotti con la freddezza propria di uno psicodramma, non esaurirebbe il vero centro del discorso: e cioè come Zürcher metta in scena le vertigini interiori dei suoi personaggi e cosa gli interessi far deflagrare – letteralmente – in faccia allo spettatore. Der Spatz im Kamin è una bomba a orologeria pronta a inabissare la visione entro la dimensione del puro inconscio, dove ogni aspetto, dai dettagli della minuziosa scenografia alle parole sussurrate negli angoli di qualche stanza remota, si confronta con l’impossibilità di sottrarsi all’assoluta trasparenza a cui è esposto. Il fantasma, insomma, è in mezzo a noi: non resta che accettare di doverlo attraversare per sapersi nuovamente vedere dal di fuori, abbandonare il passato e immaginare la vita in un nuovo vestito. Con uno scarto visionario e una sequenza da far impallidire la stragrande maggioranza degli horror contemporanei, il film mostra il suo slancio metamorfico, così generoso e audace da essergli forse costato un premio nel palmarès di Locarno. Ma il cinema è e deve essere anche questo: guanto rovesciato, rituale purificante, sabba incendiario, dopo il quale resta soltanto una coltre di cenere da cui spiccare il volo. Cinema di maniera? Forse, ma di irresistibile classe.