Miranda July, nata Grossinger, è una filmmaker, performer e scrittrice californiana che ha sviluppato la sua identità artistica a partire dal 1990, quando, appena sedicenne, adotta il cognome dell’eroina di un racconto contenuto nella zine Snarla, da lei ideata assieme alla compagna di liceo Johanna Fateman e distribuita presso il 924 Gilman, un noto locale punk di Berkeley. Due anni più tardi il club ospiterà la prima pièce teatrale di July, The Lifers, ispirata al suo scambio di lettere con un detenuto e interpretata da due attori non professionisti trovati tramite un annuncio su un giornale.
Lo spettacolo si rivela fin da subito un’esperienza seminale per July, non solo perché la motiva ad elaborare altri testi basati su storie vere e a coinvolgere sconosciuti nei suoi lavori, ma anche perché la incoraggia a perseguire la carriera di regista. Così, dopo un anno all’Università della California – Santa Cruz, July si trasferisce a Portland, Oregon. Qui entra in contatto con il movimento femminista Riot Grrrl, si unisce alla band musicale The Need e porta in scena le sue solo performance nei locali punk della città. Fedele all’etica DIY trasmessale dal movimento, July crea inoltre una rete di distribuzione underground, chiamata Big Miss Moviola prima e Joanie4Jackie poi, con lo scopo di diffondere e valorizzare i cortometraggi di giovani cineaste statunitensi. Il progetto, durato dieci anni, prevedeva la creazione di compilation contenenti i video delle registe esordienti selezionate, che July stessa trasferiva su VHS (le cosiddette Chainletter Tapes).
Grazie al successo ottenuto con Joanie4Jackie, July decide di realizzare il suo primo corto, Atlanta (1996), che esplora le complessità dei rapporti familiari attraverso un’improbabile intervista doppia. La prima intervistata è Mary Schnabel, una madre apprensiva che si identifica esclusivamente con il proprio ruolo genitoriale e che proietta i propri sogni di gioventù sulla figlia Dawn, giovane promessa del nuoto. La seconda persona coinvolta è la stessa Dawn, pronta per gareggiare alle Olimpiadi di Atlanta del 1996, e convinta di avere soltanto due migliori amiche: l’allenatrice e la madre. Pur mostrandosi come una ragazza allegra e spensierata, Dawn è completamente succube della presenza asfissiante della madre, che non l’abbandona mai e che, persino fuoricampo, tenta di orientare le sue risposte. Mary e Dawn, entrambe interpretate – non a caso – da Miranda July, sono due figure complementari, poiché hanno assoluto bisogno l’una dell’altra per rappresentarsi davanti alla telecamera: Mary esiste in virtù delle ambizioni che cova verso la figlia e dell’immagine di madre premurosa e attenta che ha accuratamente costruito in pubblico, mentre Dawn continua a praticare il nuoto a livello agonistico per soddisfare le manie di grandezza della madre.
Questo tipo di conflittualità tra figure femminili pervade anche un altro cortometraggio diretto e interpretato da July, ovvero The Amateurist (1997), che indaga la polarità binaria tra soggetto osservante e oggetto osservato. Nello specifico, una “professionista”, vestita di tutto punto, osserva e commenta le movenze lascive di una “dilettante”, in biancheria intima, sul monitor che tiene tra le mani. La professionista, a colori e perfettamente udibile, si rivolge alla macchina da presa e critica aspramente l’esistenza solitaria della dilettante, ma non può fare a meno di guardarla, in quanto il suo lavoro le impone di sorvegliarne i comportamenti. La dilettante, intrappolata nello schermo in bianco e nero, non può protestare, poiché la sua voce non si sente: l’unica vera manifestazione di dissenso che le è concessa è la danza entro i limiti dello schermo. E così, se la dilettante viene a patti con la consapevolezza di essere spiata, la professionista non può che seguirne i movimenti sul monitor, a volte inorridita dai suoi comportamenti irriverenti, a volte affascinata dalla sua spensieratezza – in un insopprimibile legame di interdipendenza tra le due.
The Amateurist è attualmente esposto, insieme ai costumi delle prime performance e ai materiali promozionali di Joanie4Jackie, all’Osservatorio Fondazione Prada di Milano, all’interno di una mostra – attiva fino a ottobre 2024 – che ripercorre l’intera carriera dell’artista statunitense. Miranda July: New Society è nata a partire dalla riapertura del suo archivio personale, contenente schizzi preparatori e copioni delle esibizioni, poster, oggetti di scena e parrucche.
Il primo piano è dedicato alle performance più rilevanti di July, tra cui Love Diamond (1998), The Swan Tool (2000) e New Society (2015). Quest’ultima performance, che dà anche il nome alla mostra, tenta di stabilire un’interazione con gli spettatori, dal momento che la premessa dello spettacolo è quella di fondare una nuova società con l’aiuto del pubblico. Con New Society July, sempre nei panni di autrice e protagonista, mette ancora una volta in scena un rapporto di potere quanto mai ambiguo e sfaccettato. Come ha notato, infatti, la curatrice della mostra Mia Locks, agli spettatori viene data la possibilità di intervenire sul palco e interpretare delle parti – come sostituire July nel ruolo di leader, disegnare la bandiera della nuova comunità o intonarne l’inno ufficiale –, ma sempre all’interno di un perimetro narrativo ben preciso tracciato da July stessa.
Il secondo piano della mostra si concentra, invece, sui progetti collaborativi di July, che – dal sito online Learning to love you more (2002-2009) al “casting” su Instagram per F.A.M.I.L.Y. (Falling Apart Meanwhile I love you, 2024) – rappresentano un ulteriore sforzo per rendere partecipativa e aperta la sua opera, e coinvolgono ancora una volta sconosciuti a cui vengono affidati incarichi e compiti da svolgere. Per realizzare F.A.M.I.L.Y. July ha scelto – tramite una call sulle proprie storie Instagram – otto utenti anonimi, e ha chiesto loro di registrare dei video in cui si esibivano in vari tipi di pose o danze. Poi, grazie alla nuova funzione “ritaglia” dell’iPhone, ha scontornato ciascuna figura in modo da poterla trascinare nei video girati nel proprio studio. Non avendo fatto ricorso al green screen e ad un adeguato set di luci, talvolta lo strumento di ritaglio ha scambiato porzioni di sfondo per parti del corpo, determinando una certa confusione nei video definitivi. Nelle intenzioni di July, tuttavia, il progetto doveva stabilire un senso d’intimità tra lei e i singoli partecipanti, e così questo genere di errori è poi diventato parte integrante del lavoro.
Parallelamente alla mostra presso l’Osservatorio, il Cinema Godard di Fondazione Prada ha proposto – a marzo scorso – una retrospettiva dei film di July, che, oltre a due programmi dedicati ai corti, prevedeva anche la proiezione dei suoi tre lungometraggi di finzione. Non potendo attivare lo stesso tipo di interazione con lo spettatore, nel suo cinema July cerca di far convergere narrativamente alcune tematiche già esplorate in altri media, come l’individualismo alla base della società contemporanea, l’utilizzo di nuove tecnologie per fini artistici, la scoperta della sessualità da parte dei bambini e degli adolescenti. In Me and You and Everyone We Know (2005), July interpreta Christine, un’aspirante artista che registra video nella sua camera da letto con una handycam e s’innamora di Richard, padre separato di due ragazzi, Peter e Robbie, che flirtano online con una donna adulta. L’anonimato offerto dalla rete permette ai due fratelli di performare un ruolo di potere che sarebbe impossibile mantenere nella vita reale: quando, infatti, Robbie fissa un incontro dal vivo con l’utente della chat, la comunicazione con lei è ridotta ai minimi termini, in quanto la donna non si aspettava certo che un bambino potesse occupare un simile “spazio” online. Robbie viene così lasciato solo a riflettere sulle differenze tra vita reale e vita virtuale, e soprattutto su come il potere che pensava di aver acquisito online fosse soltanto un’illusione.
Me and You e The Future (2011) sono forse i film più autobiografici di July – avendo sempre al centro della trama una giovane donna con ambizioni artistiche, costretta a svolgere un lavoro che non la soddisfa –, ma condividono con Kajillionaire (2020) la medesima riflessione sul concetto di tempo. A questo proposito, July ha sempre manifestato una certa fascinazione per le performance in grado di restituire la percezione del momento presente, grazie alle possibilità offerte da una conversazione estemporanea con il pubblico. Nella pratica cinematografica, essendole negata questa possibilità, July ha provato a realizzare delle scene capaci di tradurre in immagini l’idea di tempo sospeso: in Me and You Christine e Richard passeggiano lungo una via che corrisponde ad un ipotetico sviluppo della loro relazione, e il tempo sembra fermarsi; in The Future il personaggio di Jason immagina di avere a disposizione una notte senza fine in cui poter riorganizzare la sua intera esistenza; infine, le protagoniste di Kajillionaire Old Dolio e Melanie si ritrovano in un bagno immerso nel buio e, mentre assistono ad una forte scossa di terremoto, vengono catapultate in un’altra dimensione temporale.
L’approccio multidisciplinare di July è sempre dotato di una precisa intenzionalità: riuscendo ad adattare il discorso ai singoli media, July intende infatti soffermarsi su singole questioni attraverso lenti e prospettive diverse. Questa pratica intermediale consente così di completare il contenuto della sua opera e moltiplicare i punti di vista sulla realtà.