La memoria è un luogo da frequentare con cura, eppure è il solo che possiamo chiamare casa. Nessuno, nel cinema europeo contemporaneo, sta ragionando con la stessa radicale sensibilità di Andrew Haigh sulla natura fantasmatica dei ricordi che ci ossessionano, sulle salvifiche possibilità delle immagini di tramutare l’indicibile in parole, sottraendo all’oblio i corpi che non si è finito di amare. Se in 45 anni (2015) era l’irruzione di un passato rimosso, il ritrovamento di una donna gelata, a fare luce sui sentimenti di un’anziana coppia di coniugi, in Estranei (All of Us Strangers) è la riconquista dell’infanzia spezzata a diradare gli spettri di Adam, sceneggiatore di varchi temporali, adulto con aggrovigliato in petto il tormento di un bambino.
Cosa possa dirsi allucinazione, cosa desiderio, cosa realtà in questo film si confonde fin dalla sequenza iniziale: tra le nuvole di un cielo arancione si staglia un poco alla volta il viso di Adam. È la città, Londra, a essere riflessa sulla finestra del suo appartamento o è lui l’ombra priva di sangue e dimora? Come per i sogni al mattino, per raccontare Estranei occorre orientarsi tra dettagli e simboli sempre sul punto di svanire. L’edificio dormitorio nel quale vive Adam, fabbricato di periferia sommerso da un surreale silenzio. Le mani di Harry, l’unica altra persona ad abitare nel palazzo, portatrici d’acqua e fuoco al deserto del suo coinquilino. E poi il treno che unisce la capitale al villaggio, l’orfano al figlio e questo ai suoi genitori morti e mai più invecchiati. Cosa hai sognato al cinema, dunque? Ho sognato il sesso tra due solitudini, ho sognato l’amore che dura oltre la fine, ho sognato altro e non ricordo cosa.
Andrew Scott e Paul Mescal, icone social di una mascolinità liberata dai modelli patriarcali ma non per questo pacificata, sono oggi la coppia migliore possibile per mettere in scena una relazione tra dolori complementari ben noti alle giovani generazioni: il timore di non avere radici e la disperazione di fronte a un futuro privo di promesse. Come nel precedente Weekend (2011), anche in questo film l’omosessualità, prima problematizzata come categoria culturale ed emotiva e poi oltrepassata nell’universale fusione dei corpi e delle paure, è il filtro privilegiato da cui esplorare una crisi identitaria, elaborare un trauma legato alla perdita, a una rivelazione taciuta, a un mancato riconoscimento da parte dello sguardo altrui. La scrittura di Haigh, ispirata qui dal romanzo di Taichi Yamada, procede per onde, lenta fino a creare burrasca, intrappolando lo spettatore in primissimi piani, colpi di musica techno, pulsazioni di cuori in allarme. Estranei è un film apocalittico, dove niente sembra esistere se non nella mente di Adam, perché guarda al mondo con gli occhi vitrei e claustrofobici della depressione, raramente trasposta sullo schermo con tanta abissale vulnerabilità. Se Charley Thompson, giovane protagonista dell’omonimo film di Haigh del 2017, trovava salvezza alla fine del suo viaggio oltre la frontiera, per Adam la guarigione avrà a che fare con l’accettazione, con la presa di coscienza di quanto la sua personale frontiera non solo sia invalicabile, ma illusoria e simile a una gabbia di cui lui stesso è carceriere.
«You were always on my mind», cantano i fantasmi interpretati da Claire Foy e Jamie Bell al loro figlio Adam la notte di un Natale immaginario. Quelli di carne e ossa morirono in un incidente stradale quando lui aveva dodici anni, eppure ora che si sono ritrovati, lui più vecchio di loro ma non meno bisognoso del loro affetto, nessuno è morto e nessuno è vivo perché vita e morte sono concetti che l’amore, così come il cinema, non riconoscono. In questo tenero sconfinamento brilla il prodigio di un film eterno perché per sua natura fuori tempo, sospeso in anticipo o in ritardo nelle note di una canzone, nella fotografia di una famiglia felice, nella camera di un ragazzo che sempre uguale era e resterà nella pellicola della sua mente. Il cosmo è in armonia, la sofferenza solo una stella tra altre miliardi che illuminano il buio. Adam. Harry. Un abbraccio prima dei titoli di coda. Il cinema, la più potente macchina della memoria mai inventata, è un luogo da frequentare con cura, eppure è il solo che possiamo chiamare casa.