Presentato alla Quinzaine des cinéastes del 76esimo Festival de Cannes, l’opera prima di Joanna Arnow è una commedia brillante e sardonica che scandisce la quotidianità della trentenne newyorkese Ann in capitoli che portano il nome dei suoi “sexfriends”, con i quali intesse relazioni poco stabili e basate su pratiche di sottomissione. Arnow scrive, interpreta, dirige e monta un’opera intessuta di materiale autobiografico, offrendo una narrazione dell’universo BDSM completamente depatologizzata e spesso esilarante.
Sono tanti oggi, soprattutto sul versante seriale, gli esempi virtuosi di autofiction in cui l’esposizione incensurata e problematica dell’universo femminile passa attraverso i corpi delle autrici stesse, a discendere dall’ormai santificato “sacco di pulci” ideato da Phoebe Waller-Bridge, passando per I May destroy you di Michaela Coel, Insicure di Issa Rae o il lungometraggio d’esordio della giovanissima Kit Zauhar, Actual people. La caratteristica centrale dei personaggi creati e interpretati da queste autrici, millennials sulla soglia dei trent’anni che cercano di ricavarsi un posto tra i conflitti generazionali delle grandi città che abitano, è una sorta di goffaggine, una stramberia assoluta che le fa scivolare senza filtri tra aspirazione lavorativa, desiderio sessuale e tentativi di autodeterminazione.
The feeling that the time for doing something has passed si colloca in questo filone e asseconda i moduli narrativi delle opere sopracitate, dove la struttura ellittica si disarticola in una serie di gag a sé stanti che ben raccontano le esistenze sempre più frammentate delle nuove generazioni metropolitane (non a caso un lavoro come quello di Issa Rae nasce come web serie). Ed effettivamente le vignette umoristiche e paradossali di cui Arnow dissemina il film perseguono la rotta di un’autonarrazione che vuole rendere dilatazioni e contrazioni temporali della percezione soggettiva della protagonista, riuscendo a orchestrare l’alternanza di un montaggio serrato alla stasi di lunghissime scene la cui tenuta ritmica permette di entrare piano nell’assurdo, per esperire il meccanismo comico e spiazzante.
In aggiunta all’eccentricità che l’accomuna alle altre gen y, nel personaggio di Ann risiede una sorta di imperturbabilità spesso respingente, una cripticità che non permette di accedere alla sfera più intima dei suoi desideri, attorno ai quali ruota tematicamente la narrazione. Nonostante la sua vita sembri affogare nella desolazione di pasti preconfezionati, genitori asfissianti e un noiosissimo lavoro da impiegata in un’azienda dove sembra essere invisibile, la scaltrezza di Arnow risiede nel sottrarre il film alla possibilità di essere ridotto a tentativo di empowerment della protagonista, la cui esistenza sembra sempre più frutto di una scelta che incidente di percorso. Ed è con questo spirito che è raccontata la sfera sessuale e relazionale di Ann, per la cui interpretazione Arnow recita nuda per gran parte del film, in un dispiegarsi di relazioni non convenzionali nelle quali lei è sempre in controllo. Il cambiamento che la coinvolge, ammesso che si verifichi, è impercettibile, e anche quando sembra aver finalmente incontrato qualcuno con cui intessere un legame più solido e svincolato da dinamiche di sottomissione ecco che viene ribadito, una volta per tutte, che i desideri e le volontà di Ann sono custoditi in un luogo il cui accesso è consentito a lei soltanto.