Princess è una prostituta nigeriana e il bosco vicino alla strada statale è il suo regno, che difende fieramente dalle altre ragazze che fanno il mestiere. Ha diciannove anni, una parrucca colorata per ogni stato d’animo e un nome per ogni cliente. Come le ragazze della sua età, sogna un futuro roseo e un amore che la tolga dai margini in cui vive. La sua vitalità resistente e caparbia colora il secondo lungometraggio di Roberto De Paolis Princess di un’inaspettata voglia di superare la realtà e guardare il mondo con gli occhi di un’adolescente.
«Ho costruito il film fondendo il mio punto di vista con quello di alcune ragazze nigeriane, vere vittime di tratta, che lo hanno scritto con me e poi hanno interpretato se stesse. Si è creato così uno spazio di lavoro nuovo, libero». Proseguendo, così, alla ricerca di un’autenticità che sin dal suo intenso esordio Cuori Puri era stata cifra stilistica, il regista affronta un tema ancora più spinoso, quello della tratta di donne nigeriane, posizionandosi dove il racconto verista non toglie spazio alle ispirazioni fiabesche. Princess, interpretata dalla graffiante e dolcissima Glory Kevin, attraversa pochi spazi, ben conosciuti: il bosco vicino alla strada, che ha il potere di generare incontri e apparizioni – con la polizia a cavallo, con i clienti e gli automobilisti di passaggio – e la casa condivisa con le altre ragazze nigeriane, dove il cortile delimita il battibeccare continuo tra loro, a volte complici e spesso rivali nel sogno di cambiare vita, imboccare la via giusta, essere salvate da un uomo che le raccolga dalla strada. Dopo tante esperienze negative, è quello che pare accadere a Princess quando incontra il timido Corrado, interpretato da Lino Musella nei panni di un principe azzurro moderno. Grazie a Corrado gli orizzonti della vita di Princess si allargano e davanti a lei si spalanca la possibilità di un’esistenza nuova, in cui poter cantare con delle persone appena conosciute lontano dalla ferocia del pregiudizio.
Attraversare lo spazio che separa la strada da quella che agli occhi di Princess è una sospirata normalità – un bar, un appartamento tutto per sé – è tutt’altro che semplice. Ed è qui che la favola si ribalta. Senza poter sopportare alcuno sguardo pietoso, Princess rimane integra nel suo andamento fragile e fiero al tempo stesso, lungo la strada in cui ci si salva da soli. La regia di De Paolis – nei suoi avvicinamenti rispettosi, nei pedinamenti tra le sterpaglie e nella sobria eleganza delle inquadrature – torna a riflettere sul concetto di confine, mettendo in atto un utilizzo drammatico dello spazio che ora si fa concreto, ora metaforico. In Cuori Puri l’incontro tra i due protagonisti apre alla speranza di una riconciliazione: Stefano è intrappolato nel quadrato di cemento del parcheggio che deve sorvegliare dalle incursioni degli abitanti del campo rom limitrofo, mentre Agnese è ingabbiata dalle regole di una comunità religiosa che le impone la verginità, facendo del suo corpo uno spazio di conflitto. La separazione esteriore di Stefano, culturale più che sociale, dai suoi dirimpettai, corrisponde a quella interiore di Agnese, e solo nel primo amore avviene un superamento. Al contrario, in Princess il desiderio di contatto contiene forse la sua impossibilità: in un mondo in cui sopravvivere è lo scopo primario, una ragazza abituata a vendere il suo corpo ha bisogno di tutto e non si può accontentare di nulla, pur tentando di resistere alla bruttezza di ciò che la circonda.
Tra il degrado della prostituzione e la sorellanza litigiosa e sopra le righe che lega le protagoniste, per la maggior parte attrici non professioniste, il film, già in concorso nella sezione Orizzonti della 79esima Mostra del Cinema di Venezia, è un coming of age delicato che racconta una condizione sociale difficile con la giusta dose di realismo, a volte magico perché influenzato dalle credenze religiose delle ragazze nigeriane che mescolano cristianesimo e animismo, e di ironia.