Musicista jazz con una solida carriera alle spalle, in seguito al blocco forzato delle attività del suo settore durante la pandemia, Rossella si ritrova a rispolverare un vecchio diploma da Operatore Socio-Sanitario per cercare una nuova, provvisoria, occupazione. Iniziano così i suoi viaggi in auto facendo spola tra due paesini della Sardegna rurale, in visita a donne e uomini anziani a cui fornire assistenza domiciliare.
A cavallo tra il musical e il cinema documentario, Badabò è un film che racconta con scanzonata ironia il mondo degli anziani relegati ai margini della società. Non si tratta però, come ci tiene a specificare l’autore, di una denuncia sociale, quanto piuttosto di uno sguardo su quel tipo di realtà, attraverso una messa in scena anarchica e gioiosa, che mette da parte le costruzioni formali “da scuola di cinema”.
Il canto libero di Rossella, che di tanto in tanto si fa spazio nella narrazione, è sempre catturato in presa diretta, non interrompe il racconto (come è invece consuetudine nel musical classico) ed è “sporcato” da interruzioni, commenti e reazioni spontanee dei personaggi circostanti. Un atto istintivo e liberatorio, una riaffermazione di sé e della propria passione all’interno di una condizione di arresto forzato. “Adesso posso dire tutto ciò che voglio!” canta Rossella riferendosi al periodo della terza età, ed è proprio l’allegria del suo personaggio a mettere in risalto questo aspetto dell’anzianità, la possibilità di sentirsi liberi e senza condizionamenti, in opposizione a tutte le limitazioni fisiche.
Badabò, racconta Stefano Cau, è anche quello che lui immagina essere il suono che fanno gli anziani quando cadono. Le loro difficoltà, l’esclusione, il fatto che si ritrovino ad interagire solo con persone della stessa età. Sono tutte realtà prese in esame nel documentario, che nonostante la leggerezza della messa in scena, conduce ad una seria riflessione sull’effettiva efficacia delle misure di cura riservate a questa parte della popolazione.