Sono due i misteri che assiepano Fire of Love, l’impressionante documentario della statunitense Sara Dosa distribuito quest’estate in Italia da Academy Two. Uno riguarda il millenario segreto del pianeta Terra, la sua vita e il suo funzionamento. L’altro rincorre la natura di un amore impossibile, rilevandone i fremiti sotterranei, le frane e i precipizi, giù fino al gorgogliante cuore del mondo. Lo confessa subito, la voce di Miranda July, eterea narratrice della vicenda: per questi misteri il film non possiede e non cerca soluzione. La scienza e i sentimenti sono sentieri cedevoli, lungo i quali più si conosce, più si impara e più rimane da conoscere e imparare. La storia dei coniugi Krafft, Katia e Maurice, coppia di vulcanologi francese celebre negli anni ‘70 e ‘80 per il pionieristico lavoro di indagine e ripresa svolto riguardo ai più importanti vulcani attivi del globo, è una storia scheggiata, traboccante di immagini e dei vuoti tra un’immagine e l’altra, portatrice di poche risposte e tantissime domande.
Katia e Maurice si conobbero durante gli anni universitari, mentre il Vietnam bruciava e a Parigi giovani in rivolta cantavano contro i loro padri. Entrambi ribelli e ossessionati dallo studio dei vulcani, si innamorarono delle rispettive solitudini per poi abbandonare il deludente mondo degli uomini e di volta in volta trovare casa sull’orlo dei crateri che intendevano analizzare. Nella loro ventennale carriera divennero divulgatori televisivi e produssero migliaia di fotografie, centinaia di ore di filmati e decine di libri, testimoniando come mai prima la suggestiva attività dei vulcani, spesso a un solo passo di distanza dalle loro sublimi e terrificanti eruzioni. Fire of Love racconta questi due personaggi tramite i loro sguardi e quelli della macchina da presa con cui essi filmarono le spedizioni, convogliando l’incandescente magma dei materiali d’archivio in una memoria altrove dal tempo, un flusso di ricordi concreto e ammaliante. In questo fragile ordine ricomposto, Katia e Maurice emergono come perfetti eroi romantici, figure titaniche e ironiche, pienamente herzoghiane per la vanità delle loro utopie, la sconfinata potenza dei desideri che li animano, la sciagura del loro destino, nonché la sfida e l’amore nei confronti di una Natura madre e matrigna.
Maurice non si definì mai artista, eppure Fire of Love è anche senz’altro un film sul potere delle immagini, sulla loro capacità di avvicinarsi alla verità e scandagliare il ventre nascosto delle cose, consapevoli dei pericoli che tale avvicinamento comporta. In questo senso, le pellicole dei Krafft assomigliano a opere astratte più che a cataloghi accademici. La sensibilità dei loro scatti, così come la bellezza cromatica e le inaudite composizioni delle inquadrature, sembrano quasi capaci di rifondare uno sguardo sul mondo. Uno sguardo oggi ancor più necessario di ieri perché liberato da lenti antropocentriche, attento a sondare i minimi battiti del suolo, il calore delle pietre, il fluire della vita in ogni sua forma. Inoltre, e qui sta la frizione che fa grande il film e gli permette di emozionare, queste immagini significano sempre anche una doppia testimonianza, unendo estremi troppe volte ritenuti opposti: la precisione della scienza e i sussulti dell’anima. Se le sole vere case che gli apolidi Krafft hanno abitato durante la loro esistenza sono stati i vulcani che hanno filmato, allora quelle immagini, ancor prima di essere preziosi documenti scientifici, sono intimi home movies famigliari, immortali tracce di felicità di un amore altrimenti perduto. Dosa e i suoi collaboratori riescono, tramite un uso sismografico del suono e una narrazione aperta, che dialoga e interroga i materiali invece di limitarsi a commentarli, in un’impresa paragonabile a quella più volte compiuta dai protagonisti del loro film; calarsi nelle profondità di ciò che appare informe – il ribollire di un vulcano, chilometri di pellicola senza nome – e nascosta scovare persino nel caos più impetuoso la trama essenziale che lo governa.
Si finisce dall’inizio, dal mistero della Terra e da quello dei sentimenti. Tanto incommensurabilmente lontani quanto simili, dopo la visione di Fire of Love, seppur entrambi irrisolvibili una volta per tutte. Così come Katia e Maurice, nonostante i mille sforzi e le grandiose scoperte, non riuscirono mai a prevedere l’esatto istante in cui la scintilla all’interno di un vulcano sarebbe divenuta esplosione, così il segreto ultimo del loro legame sfuggirà anche al più attento degli spettatori.Cosa avranno provato ad esempio i due amanti, quel 3 giugno 1991 in Giappone, alle pendici del monte Unzen, quando la terra tremò e un cielo di cenere e lava cadde loro addosso, uccidendoli? Chi è certo della risposta, si faccia il favore di esitare, o di vedere il film. La realtà è che si tratta di un mistero di fronte al quale siamo nudi, formiche in una pentola bollente diceva Maurice, e cinema come Fire of Love ricorda che è proprio questa feconda ignoranza, talvolta, a salvarci.