Continuazione ideale di Happy Hour, il suo primo lungometraggio senza il co regista Kō Sakai, Wheel of Fortune and Fantasy di Ryusuke Hamaguchi, vincitore dell’Orso d’Argento (Gran Premio della Giuria) a questa insolita ma inevitabile 71° edizione della Berlinale, raccoglie le istanze espressive più significative di un certo cinema realista giapponese (ma forse asiatico tout court) e le rielabora attraverso alcuni giochi drammaturgici tipici della commedia degli equivoci occidentale, riconoscibile in esergo con lo scopo di sabotare alcuni meccanismi di condizionamento di genere che tutt’oggi affliggono la solo apparentemente evoluta cultura nipponica contemporanea.
Già grandi maestri come Mizoguchi e Ozu avevano affrontato il tema della marginalizzazione, e finanche ghettizzazione, del ruolo delle donna in capolavori come Gli Amanti Crocifissi, Fiori d’Equinozio, Tardo Autunno, e soprattutto La Strada della Vergogna, spalancando varie finestre nascoste su un Giappone profondamente patriarcale e soffocante nel reprimere ogni tentativo di andare oltre i restrittivi dettami di genere, in una società sostanzialmente post feudale che nel secondo dopo guerra volgeva lo sguardo verso quel capitalismo asiatico esportato poi anche in molti altri avamposti dell’industrializzazione consumistica che dura ancora oggi. Diversi decenni dopo Hamaguchi, attraverso questo atipico film a episodi raffiguranti ognuno dinamiche di alienazione femminile, o nel rapporto di coppia o più in generale nella possibilità di ritagliarsi un proprio spazio nella società, continua il discorso dei suoi illustri predecessori esprimendolo attraverso la tradizione cinematografica accumulata nel frattempo dal cinema orientale (inevitabile un richiamo stilistico alle atmosfere agro dolci dei film di Hong Sang-soo) e unendola a quella forte narrazione che fa dell’imprevisto il suo cardine ritmico e strutturale più forte. Di fatto però in Wheel of Fortune and Fantasy i turning point che il regista imprime a ogni episodio assumono il ruolo di scomporre il precario status quo di rispettabilità che aleggia nella borghesia giapponese contemporanea, in cui la donna è profondamente oggettificata e identificata spesso ancora attraverso il binomio (che del resto noi occidentali conosciamo molto bene) di moglie o prostituta, nonostante la patina di apparente parificazione.
Come nel miglior cinema di Antonioni e Rohmer anche questo lavoro mostra in controluce delle donne confuse sul loro ruolo rispetto al potere maschile, e nei primi due episodi tratteggia dei personaggi femminili che considerano il proprio corpo come unico mezzo a loro disposizione per identificarsi e farsi riconoscere dall’interlocutore, e mentre Ozu e Mizoguchi raccontavano l’ostracizzazione o l’autorepressione, nel Giappone moderno Hamaguchi non mostra una distanza di ruoli evidente, ma la suggerisce allo spettatore proprio attraverso l’incedere narrativo, che termina sempre con la sconfitta o con la disillusione della protagonista e con il trionfo, sotto varie forme ma quasi automatico, del patriarcato. Estremamente esemplificativo da questo punto di vista è del resto il terzo e ultimo episodio, in cui due donne omosessuali, in seguito sempre a un altro equivoco dislocatore della routine (in questo caso uno scambio di persona) cercano un contatto che non riescono più a raggiungere, dopo anni di frustrazioni e segreti, rimanendo solo in grado di rifugiarsi nella finzione di un incontro con amori passati, per regalarsi vicendevolmente un po’ di sollievo da una vita che non sentono come loro.
Esegetico di una tradizione cinematografica ingombrante e complessa, Wheel of Fortune and Fantasy attraverso la sua apparente semplicità (il trailer lascia quasi pensare a una simil soap opera) scava profondamente all’interno delle ferite ancora aperte di una società che non riesce a liberarsi di quella disuguaglianza che decenni di “progresso” sembrano non aver per niente scalfito, e per accorgersene basta grattare appena la superficie, attraverso un semplice obiettivo cinematografico e qualche leggero movimento di macchina.