Realizzato in due sole settimane appena dopo lo scoppio della pandemia il nuovo film di Sam Levinson si sviluppa come un kammerspiel interamente girato nella villa californiana dell’architetto Feldman, di cui durante la lite tra i due protagonisti vengono rivelati progressivamente tutti i dettagli e le forme.
L’antefatto narrativo scaturisce da una mancanza di Malcolm, regista osannato per la sua opera prima che, dimenticatosi di ringraziare la compagna Marie durante il discorso di ringraziamento, inizia con quest’ultima una lite che prenderà possesso di tutto l’arco drammaturgico del film, o per meglio dire, che diventerà l’arco drammaturgico del film. Anche per questo motivo il lungometraggio si nutre dell’intensità della recitazione dei due protagonisti John David Washington e Zendaya, quest’ultima protagonista della serie televisiva Euphoria, dello stesso Levinson, che è stata capace di affrontare il tema della tossicodipendenza conformando la messa in scena e la narrazione a quello stesso annebbiamento e desolazione che caratterizza lo stato di alterazione dei suoi personaggi. Difatti la connessione tra Malcolm & Marie ed Euphoria emerge proprio nel paragone tra Rue e Marie, entrambe giovani donne alla ricerca di un equilibrio con sé stesse e ciò che le circonda, alla presa con situazioni complesse e spesso autodistruttive.
Durante tutto il film assistiamo a un gioco di tensioni dove la personalità dell’individuo viene messa a nudo dagli occhi dell’altro. I personaggi non si risparmiano, la notte diventa un lungo e intenso sfogo di parole e dispiaceri non espressi in passato, dove i dialoghi vengono enfatizzati dalla lunghezza e dall’assenza di pause, fino a trasformarsi in monologhi in cui i due recitano la loro parte non solo rivolgendosi al partner ma anche a sé stessi, tentando di affermarsi come artisti e amanti.
Malcolm & Marie è una danza fatta di movimenti, ritmi e pause: i corpi si inseguono, si allontanano, rimangono in silenzio, il linguaggio fisico viene enfatizzato attraverso totali all’interno di uno scenario teatrale dove regista e attrice / amante e amata, sembrano essere a un punto decisivo del loro percorso comune. In principio la macchina da presa rimane all’esterno della casa a osservare le dinamiche intercambiabili dei personaggi, Marie cerca di non far trapelare il suo dispiacere e la sua rabbia per non essere stata riconosciuta come si aspettava, mentre Malcolm al contrario esprime la sua felicità per il traguardo raggiunto attraverso un soliloquio autoreferenziale. Non appena si accorge del silenzio di Marie la camera entra nella casa avvicinandosi ai personaggi, che iniziano a scontrarsi: “Maybe you can’t read me”.
Durante la notte Marie assume diversi atteggiamenti e reazioni alle parole e ai gesti del compagno, non si sente capita fino in fondo e per questo nel momento in cui sembra adottare un atteggiamento pacifico il ritmo cambia repentinamente e si scalda di nuovo, rivelando man mano un suo malessere interiore lacerante. Questa progressione viene rappresentata visivamente e simbolicamente anche da gesti banali, come il cambio di abito elegante con una semplice tenuta da notte dopo un bagno: Marie si toglie il trucco e si mette una canottiera, ponendosi completamente a nudo a livello fisico ed emotivo.
Non da ultimo, la musica assume un ruolo sottotestuale talmente forte da ergersi quasi a personaggio a se stante, in questa atipica opera para teatrale. I forgot to be your lover, Get rid of him, sono brani che punteggiano il film e che testimoniano il profondo legame tra i due protagonisti, nonostante l’incapacità nel non saper leggere i desideri dell’altro.
Nonostante la ricercatezza della fotografia in bianco e nero, la precisione delle inquadrature, e la pervasività dei dialoghi, Malcolm & Marie tratta di un tema molto diretto e semplice. Dietro il personaggio di Malcolm, che lamentandosi della critica afferma che un cineasta di colore non intende necessariamente portare avanti un discorso politico in ogni storia che mette in scena, Sam Levinson rappresenta le private dinamiche di due amanti che all’interno della gabbia filmica cercano di rendersi indipendenti, come persone e come personaggi, da ogni condizionamento storico, culturale e, forse, anche cinematografico.