Il governo di una città converge nel municipio, che si occupa di fornire i più diversi servizi ai cittadini. Frederick Wiseman apre le porte del city hall nella sua natia Boston, mostrando quanto sia ramificata l’amministrazione di una metropoli americana. Sono tante le attività che si svolgono nel municipio e che poi investono, per effetto, il mondo esterno: polizia e vigili del fuoco, registrazione di nascite, decessi, matrimoni, sanità, manutenzione di parchi e strade, aiuto agli anziani e ai senzatetto. Come nel recente Ex Libris – The New York Public Library, il regista torna a esplorare il funzionamento interno di un’istituzione statunitense, formata da tanti piccoli ingranaggi che si incastrano con apparente armonia.
In City Hall, presentato a Venezia ed eletto film dell’anno dai Cahiers du Cinéma, tutto entra in campo, dal rito più intimo fino ai grandi eventi che interessano l’intera città: la scena di un matrimonio tra due donne, accompagnate solo dalla funzionaria che celebra la cerimonia, non ha meno importanza dell’immensa parata per la vittoria dei Red Sox: entrambe le manifestazioni vengono riprese con pari interesse, dignità e attenzione dalla camera di Wiseman. L’intento non è solo quello di registrare in maniera quanto più limpida e oggettiva possibile il lavoro quotidiano del municipio nelle sue molteplici forme, ma anche quello di mostrare la variegata composizione di una comunità. Tutti trovano il loro posto nella grande macchina governativa e tutti hanno il loro momento sotto le luci dalla ribalta: i cittadini, i funzionari e i dipendenti, i poliziotti, anche i netturbini che si prendono cura delle strade di Boston.
All’interno di una tessuto sociale così ricco e stratificato, c’è poi un personaggio che compare più volte nel corso del film: il sindaco Martin Walsh, a cui Wiseman dedica molto spazio, montando anche scene in cui l’uomo racconta di sé e di un passato di alcolismo. Se emerge la figura di un protagonista, questo risulta però un primus inter pares, che non cancella quindi la dimensione corale del documentario. Il sindaco Walsh è a capo di una micro-società dove i contrasti, le disuguaglianze e le criticità vengono affrontate con il dialogo, la cooperazione e l’inclusione. Quella messa in scena in City Hall è un’utopia, nel vero senso del termine, dove il topos è eu-, buono, giusto. Ma l’etimologia della parola è polisemica: la u- iniziale può indicare eu- (luogo buono), ma anche ou-, quindi non luogo o luogo immaginato. La società ripresa da Wiseman esiste all’interno del suo film, tuttavia per il regista non è fantasia, anzi può e deve essere reale, diventando un modello da seguire e applicare a Boston, così come in tutti gli Stati Uniti.
Come dice il sindaco Walsh, le iniziative politiche e sociali hanno un impatto locale e si auspica abbiano una risonanza anche nazionale (in netto contrasto rispetto a quelle di Trump). Allo stesso modo Wiseman modula il proprio film passando continuamente dal micro al macro: illustra il lavoro dei singoli uffici, ma non si limita alla vita all’interno del municipio, perché il suo sguardo percorre le strade, gira tra i quartieri e ritrae la città. Ogni sezione del documentario rappresenta, in piccolo, una comunità, dunque ogni parte comunica con il tutto, e il risultato è una struttura eterogenea che tende a un modello simile di buon governo.
Per Frederick Wiseman l’utopia è possibile e idealmente esportabile su larga scala. In mezzo ai tanti racconti distopici contemporanei – tra ancelle rossovestite e sottomesse, lunghissimi treni divisi per classi sociali, catastrofi climatiche e scenari post-apocalittici (come quello attuale) – City Hall è un film coraggioso, una grande opera di fiducia, un quadro umanissimo di speranza.