Secondo Tzvetan Todorov quando un individuo assiste a un evento inspiegabile ha due possibilità: può accettarsi come vittima di un’illusione estrinseca al corso naturale del suo mondo, oppure può arrendersi all’idea che l’evento inspiegabile sia reale, faccia parte del reale, e che quindi questo reale sia a lui del tutto sconosciuto. Ciò che occupa la durata dell’incertezza tra queste due possibilità è uno stato di tensione intermedia che Todorov chiama “fantastico”.

Già Coleridge nel 1917 aveva coniato l’espressione “volontaria sospensione dell’incredulità” per circoscrivere l’atteggiamento di dubbio concordato, il gioco non a somma zero tra un individuo e un evento di fantasia. La nozione di Todorov però è più problematica di quella del poeta inglese; mentre nella definizione di quest’ultimo il soggetto detiene il primato sull’oggetto (la sospensione dell’incredulità è volontaria, il patto può essere sciolto sempre), nella definizione del filosofo francese il soggetto perde questo primato tanto quanto l’oggetto, perché il fantastico mette in dubbio sia la sicurezza dell’individuo soggettivo che la sicurezza del reale oggettivo. Per questa natura dubitativa il fantastico è una nozione centrale del contemporaneo (il saggio di Mark Fisher The Weird and the Eerie è forse la più raffinata argomentazione a riguardo): esso coordina le tendenze postmoderne per eccellenza, cioè la messa in discussione delle grandi narrazioni condivise e la loro riscrittura tramite forza creatrice.

In The Fantastic Maijia Blåfield riconosce il lavoro di queste categorie esistenziali nelle esperienze straniate di chi in Corea del Nord guarda i film occidentali illegalmente; lo fa non solo rintracciando nelle parole di anonimi cittadini del regime totalitario la traccia del dubbio creativo (“After the film, reality became different from what i learned before” confessa una ragazza) ma anche problematizzando la rappresentazione della loro esperienza. Le leggi ottiche del reale vengono fatte cortocircuitare da immagini che sono realtà e un attimo dopo sono miraggi squagliati che piano piano effondono per campi lunghi uno stato di compromissione, appannamento delle coordinate conoscitive.

Non si tratta di un vezzo stilistico: quando il ricordo di una cena francese vista in un film è descritta come il momento di svolta di una vita, rottura della realtà conosciuta e liberazione dell’immaginazione oltre il campo determinato dell’ideologia, l’immagine si fonde in un campo d’intensità senza più ritmo conoscibile, oltre il limite stretto dell’inquadratura. Avviene così per immagini l’esperienza di un fantastico vissuto da altri occhi, che non solo demistifica la realtà, ma crea nuovi reali. Il documentario è, per dolce paradosso, condivisione di libertà e prima generazione di immaginario. [Leonardo Strano]

Per vedere il film: https://www.mymovies.it/ondemand/popoli/movie/the-fantastic/


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Una soluzione equa

Presentato in anteprima italiana nel Concorso Internazionale del 61° Festival dei Popoli Fadma: même les fourmis ont des ailes di Jawad Rhalib affronta con sottile ironia la complessità dei rapporti di genere nella società marocchina.

In un piccolo villaggio dell’Alto Atlante, Fadma e la sua famiglia tornano ogni estate a trascorrere le vacanze. Ormai abituata ai costumi della città in cui vive da anni, Casablanca, la donna non è più disposta a essere testimone silenziosa delle disuguaglianze che separano i cognati dalle mogli. Come una goccia che scava la pietra, Fadma si insinua con dolce risolutezza nei discorsi delle donne del villaggio, convincendole a scioperare per vedere riconosciuti i propri diritti, a partire da un assunto ripetuto con sempre più convinzione nel corso del film: gli uomini e le donne sono uguali.

Con semplicità e sintesi, Fadma si apre mostrando l’asimmetria nella divisione del tempo: quello delle donne, scandito dal respiro affannoso del lungo cammino per arrivare alla sorgente d’acqua, e quello degli uomini, abbandonati nella mollezza dell’afa estiva tra bar, bagni e riposi pomeridiani. Jawad Rhalib osserva compiaciuto una piccola rivoluzione prendere forma davanti alla sua camera e, utilizzando elementi tecnici della regia tipici della fiction, riesce con successo a impiantarli nel contesto documentaristico. Il risultato è un film che non perde mai ritmo, e costruisce un gioco di campi e controcampi che fa da specchio alle contrapposizioni, a tratti buffe e caricaturali, tra l’universo maschile e quello femminile.

A risolvere la disputa, la figura di un anziano, che rievoca una procedura che risale alle antichissime consuetudini tipiche delle società arabe pre-islamiche e che esiste anche nella Shariʿah, ovvero quella dell’arbitrato. Grande merito del film di Rhalib, infatti, è quello di mostrare nelle sue sfumature la vivacità di una società rurale agli sgoccioli, che conserva tuttavia un forte senso di comunità. Come negli usi tradizionali, anche la piccola battaglia innescata da Fadma contro le regole del patriarcato si risolve grazie all’intervento della collettività in una soluzione equa e di compromesso, piuttosto che nella prevaricazione di una parte sull’altra. Un passo alla volta, come dice il marito di Fadma, avvengono i cambiamenti, e l’acqua arriva al villaggio come la promessa di un’esistenza più facile. [Carlotta Centonze]

Per vedere il film: https://www.mymovies.it/ondemand/popoli/movie/fadma/


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Nella pancia della balena

Capita che, a causa di alcune disgrazie, certi uomini scelgano di abbandonare tutto e ricominciare una nuova vita. Massimiliano è uno di questi.

La dignitosa riservatezza che caratterizza Il libro di Giona, presentato nel Concorso Italiano del 61° Festival dei Popoli, non ci concede di poter scoprire quale sia il male oscuro che affligge il suo protagonista, segnato indelebilmente, ogni giorno che passa, da una ferita incurabile. Massimiliano lascia la sua casa e sceglie di andare a vivere dentro un’automobile, passando le ore a leggere all’interno dell’abitacolo o a camminare senza meta per la città scattando foto con il cellulare, mentre il giovane regista Zlatolin Donchev lo segue con la sua camera, deciso  a compiere il ritratto di un profeta senza grazia.

Il libro di Giona può essere definito un film cornice: una modalità ricorrente nel documentario contemporaneo, che sceglie di mettere da parte ogni tipo di opinione o costruzione estetica, per far sì che emerga unicamente il ritratto “puro” della persona. All’apparenza, nessuna particolare ricerca formale, nessun piano stilistico netto, se non l’immagine immobile di un lento scorrere dei minuti, nella totale assenza di eventi dirompenti. Camminiamo al fianco di Massimiliano, ci soffermiamo a guardare assieme le fotografie di quel che ama immortalare: alberi, ombre, spesso il sole e la luna, cieli in controluce. Si avverte una piccola tensione verso l’infinito che il protagonista cerca di raggiungere, un breve lampo di dolcezza nei confronti della vita che immediatamente svanisce, per farlo ripiombare di nuovo sulla terra, perso nel caos della sua testa dolente.

Massimiliano è un uomo che soffre, ma la regia di Donchev si tiene alla larga dai vittimismi. Al massimo, la sua è una regia che manca un po’ di “immaginazione”. Troppo spesso infatti siamo tentati di pensare che un documentario così intimo, nel nome di un minimalismo espressivo, non si possa prendere la libertà di “raccontare una storia”. Narrare significa soprattutto saper raccogliere gesti ed eventi significativi, anche se quasi invisibili, per cui il documentario può diventare la rete da pesca per eccellenza. Era già capitato, per esempio, con Yvonnes di Tommaso Perfetti (presentato a questo festival tre anni fa): un film molto simile a Il libro di Giona, ma dove la macchina da presa così stretta al protagonista (un altro senzatetto) non rinunciava alla virtuosa concretezza della forma per trascinarci addosso i turbamenti del personaggio. Senza stratagemmi, ma solo con un po’ di coraggio in più, per scendere assieme nella pancia della balena. [Davide Perego]

Per vedere il film: https://www.mymovies.it/ondemand/popoli/movie/il-libro-di-giona/


Leggi anche: https://www.filmidee.it/2020/11/popoli-61-lanima-del-reale/