Aldo e Vanda non si toccano quasi mai: fanno eccezione solo l’incipit, ovvero la scena di ballo, e il rientro nel guscio famigliare di lui dopo la parentesi romana con l’amante Lidia. In entrambi i momenti comunque, il loro avvicinarsi è minimo, indispensabile. Anche quando li vediamo in spiaggia, ormai rugosi e drasticamente ironici, marito e moglie sembrano girare intorno a un epicentro che li tiene costantemente a distanza di sicurezza, come due poli dello stesso segno. E di fatto questo sono, due punti dalla carica negativa che per tutta la vita si sfidano, si sfiorano, e finiscono per incastrarsi in un percorso calcolato dal loro comune centro d’attrazione: i figli.
Nonostante l’amarezza di tale condizione, del dolore di coppia non rimane che qualche flebile epigono. Il mutismo selettivo della figlia adolescente, la tazza che Vanda scaglia a terra, come a incamerare un urlo soffocato, l’ignavia di Aldo nel non sapere come esprimersi o comportarsi coi figli Sandro e Anna, nel non sapere in generale, e poi le uniche due scene potenzialmente esplosive: il litigio prima nello studio radiofonico di lui e in seguito per strada contro Lidia, davanti ai figli barricati dietro ai finestrini della macchina. Ma ciò che aveva le capacità di trasformarsi in furia viene taciuto, silenziato dietro a delle vetrate. La rabbia si rarefà, s’acquieta: cosa si dicono, moglie e marito, non ci è dato saperlo. Se è comunque vero che spesso i meccanismi del matrimonio si nutrono di indecifrabilità, restituire questa sfuggevolezza rendendo ogni confronto muto rischia di invalidare scelte, gesti e sentimenti dei personaggi, che diventano azioni incomprensibili di una vita preconfezionata a misura di schermo.
In Lacci l’effetto drammaturgico che ci regala la parola scritta, ereditata dal romanzo omonimo di Domenico Starnone, che ne ha curato anche la sceneggiatura, si trasforma in stridore proprio quando è raccolta dagli interpreti, imbattendosi nella scelta registica di costruire un realismo d’accatto, depotenziato da una trasposizione retorica che sconfina spesso nel parossismo. Il risultato quindi ha spesso poco a che vedere con le emozioni naturali, quelle che avrebbero trovato il proprio humus in una restituzione vera e sentita del confronto di coppia.
Se nel romanzo la vicenda è tripartita secondo le prospettive di Vanda, Aldo e della figlia Anna, Luchetti sceglie di raccontare la verità di ognuno dei personaggi inseguendo con balzi temporali le singole ragioni del cuore: solo noi, osservatori a posteriori dotati di triplice visione, siamo in grado di sciogliere le matasse. Un movimento simile, predisposto alla scoperta di un qualcosa che va oltre il presente verificabile, avveniva già in pellicole recenti come Il capitale umano di Virzì: ma se, in quella occasione, la prospettiva individuale era organizzata per capitoli e sfruttata ai fini del giallo, della ricostruzione di un evento tragico, nel caso di Lacci gli sconfinamenti temporali delineano una domanda (perché lui e lei sono ancora insieme, 40 anni dopo?) senza fornirci alcuna risposta. L’andirivieni dei giovani e dei vecchi Aldo e Vanda genera solamente il paradosso per cui ogni sentimento vive sia qui che lì, sia ieri che domani: tutto ciò che interviene tra un primo bacio e un divorzio prolifera sia nel bacio che nel divorzio, così come i rancori sopravvivono, con lo stesso vigore, allo scorrere dei decenni.
Questa sorta di flashback viene adoperato escludendo dall’uso una sua grandissima potenzialità: raccontare un momento del passato non solo seguendo lo sguardo oggettivo di un personaggio, incasellando pian piano dati e fatti certi, ma anche e soprattutto secondo la sua emotività, soggetta a impressioni errate, visioni contrastanti e dubbi personali. Questa operazione, sfruttata creativamente in Ricordi? di Valerio Mieli tra gli altri, avrebbe potuto aggiungere maggiore tridimensionalità e coscienza ai personaggi. Le uniche vittime di questo tipo di offuscamenti sono Sandro ed Anna: questo finché, nella sequenza finale, non si rivelano vicendevolmente mezze verità, aprendo un vaso di pandora, letteralmente e metaforicamente, che permette ai due di liberarsi di alcuni fardelli, letterali e metaforici.