Quella di Eleanor Marx è una storia complessa e poco ricordata. Sestogenita nonché quarta figlia femmina dell’autore de Il Capitale, il suo vissuto si muove e si intreccia con l’eredità politica paterna e con l’evolversi del movimento operaio, insieme al coro dei personaggi senza tempo che hanno influenzato la storia socialista inglese. Nonostante sia ricordata da tutti come la figlia di Karl Marx, Eleanor detta Tussy, era innanzitutto una femminista, socialista in lotta per i diritti dei lavoratori e dei minori, traduttrice (sua la prima traduzione inglese di Madame Bovary), scrittrice, empatica e coraggiosa oratrice, connubio ideale di conoscenza storica e sensibilità umana.
All’interno di Miss Marx (in concorso a Venezia 77) sono accennate solo poche parti dei suoi incalcolabili scritti riportati in quei rari momenti di ricostruzione storica in cui tiene comizi alle classi operaie e visita le fabbriche: la quarta parete cade e lo spettatore diviene banalmente il prediletto destinatario di quel messaggio. Delle infinite attività e dell’inesauribile impegno della piccola di casa Marx è difficile rendere sinteticamente conto. Nel 1976 Yvonne Kapp ne pubblica una biografia di considerevole portata (quasi mille pagine), suddivisa in due tomi: il primo narra i primi 28 anni di vita di Eleanor e si conclude con la morte del padre nel 1883; il secondo (circa i due terzi dell’opera), sottotitolato Gli anni dell’impegno, va dal 1884 al 1898, anno della sua morte.
È su questa seconda parte che sceglie di concentrarsi Susanna Nicchiarelli, aprendo il film con il discorso tenuto dalla protagonista (interpretata da Romola Garai) per i funerali di Karl, in una celebrazione non tanto del grande uomo socialista, ma di quell’amore non particolarmente genuino che per una vita lo ha tenuto accanto alla moglie: le prime battute svelano inconsapevolmente l’intera trama del film, una storia d’amore priva di lieto fine. Poco prima della morte del padre Eleanor si innamora infatti di Edward Aveling, attivista politico nonché autore di opere teatrali, con il quale si trasferisce poco dopo: i due si dichiararono sposati pur senza poter legalmente esserlo (Aveling è vedovo), in nome di un amore anarchico malvisto dalla borghesia più conservatrice dell’epoca. Atea e figlia del socialismo, a Eleanor non interessano i valori della famiglia canonica né le etichette da esse derivanti, tant’è che si firma ugualmente Marx-Aveling, come provocatoria presa di posizione nei confronti di quell’amore puro. È una relazione promettente, simbiotica nell’arte come nella politica: i due lavorano fianco a fianco, insieme fondano la Socialist League (Eleanor è l’unica donna a farne parte, simbolo di una dottrina che per quanto si dichiari egualitaria nasconde fondamenta patriarcali), e firmano a quattro mani il famoso The Woman Question: from a Socialist Point of View (1886), un illuminante trattato sulla condizione femminile in cui il capitalismo è individuato come causa principale della subordinazione plurisecolare della donna, posta nella stessa condizione di oppressione delle classi operaie. Uno scritto rivoluzionario che risuona quanto mai attuale, all’interno del quale la vita domestica viene intesa come un’ipocrisia organizzata, riflettendo sui concetti di monogamia e poligamia.
Sotto il profilo privato le sue azioni tradiscono però le forti idee di emancipazione. Ben presto Aveling si rivelerà per ciò che è, «uomo privo di morale», fedifrago e senza alcun senso del denaro: quando si ammala di una forma cronica di polmonite la coppia è già a un punto di non ritorno e le assenze di Aveling diventano una costante. Alla lucidità etica di Eleanor segue la consapevolezza di un amore sbagliato dal quale è impossibile liberarsi; il j’accuse finale è una triste presa di coscienza anticipatrice del tragico epilogo.
C’è chi vede nel suicidio di Eleanor l’accesso alla libertà tanto desiderata dopo una vita passata sotto l’influenza di forti figure maschili (a partire dal padre), così come predetto nel riadattamento Casa di Bambola Aggiustata scritto con Eveling. Eppure, non vi è alcuna visione romantica nel suo gesto se non il segno ineccepibile di una sconfitta, il cui racconto diviene necessario. La vita di Eleanor Marx apre una profonda riflessione sui molteplici e possibili livelli dell’emancipazione femminile: al di là delle battaglie sociali e dall’apparente progredire della posizione della donna nella sfera pubblica, continua ad esistere e ad affermarsi un sistema di soggiogazione intimo e quotidiano, che trova ragione in un patriarcato immobile, immutabile e consolidato nelle sue strutture culturali. Eleanor Marx non è riuscita a redimersi, schiacciata da una mascolinità plumbea: il suo ritratto è sinonimo di un’insidiosa oppressione alla morale femminista che sopravvive ai giorni nostri.
La regista romana Susanna Nicchiarelli si è sempre distinta per aver trattato le sue protagoniste femminili sotto una luce inusuale, attraverso precise scelte autoriali e la costruzione di contro-biopic dalle sfumature crepuscolari. In Nico, 1988 (2017), vincitore della sezione Orizzonti a Venezia, vengono infatti portati sul grande schermo gli ultimi (e quasi inediti) decenni di vita di Christa Paffgen, attraverso il racconto di un animo inquieto e anticonformista intento a liberarsi del peso di Nico, femme fatale di una generazione intera di artisti. Ogni vita extra-ordinaria nasconde i propri demoni, la Storia ne è testimone e il Cinema ama saltuariamente ricordarcelo. Ciò che però viene meno e stride fortemente all’interno del nuovo film è la stessa resa registica: Miss Marx meritava senza dubbio azzardi stilistici più ambiziosi capaci di rendere giustizia visiva a un personaggio così eclettico e tormentato. Anche la colonna sonora firmata dai Downton Boys insieme a Gatto Ciliegia contro il Grande Freddo (vincitrice del Soundtrack Stars Award 2020 a Venezia), che accompagna le scene in costume, sfocia in un’operazione banale e non necessaria di fronte a un personaggio che è già punk di per sé. La narrazione classica, figlia della letteratura romantica (interrotta da qualche fotografia d’epoca e flashback), si sviluppa attorno al medesimo archetipo, la figura di una anti/eroina costruita, ancora una volta, in opposizione al personaggio maschile, scelta che di rivoluzionario e contemporaneo ha ben poco, anzi, alimenta l’uso di un linguaggio cinematografico consolidato che limita le possibilità di rappresentazione del femminile.