“Non so se sono capace di nuotare, perché nessuno mi ha mai fatto provare”: così spiega Héloïse a Marianne, adagiata su una spiaggia bretone in un Settecento abbozzato su tela. Adèle Haenel questa volta non è la Floriane di Naissance des pieuvres: non ha confidenza con l’acqua, né con tutto ciò che attorno a lei si muove e porta lontano. Come la sorella – gettatasi dalla scogliera che le sovrasta –, come la madre alla stessa età, e come tutte le altre fanciulle in fiore, Héloïse è inconsapevole del mondo e delle proprie possibilità. Perché niente di tutto questo, nella sua giovane vita ritirata, le è mai stato mostrato. Proprio sulla visibilità negata riflette Ritratto della giovane in fiamme, liberatorio salto nel vuoto di Céline Sciamma, che abbandona la periferia dei nostri giorni per immergerci in un passato dai contorni sfumati, prendendosi tutti i rischi di un balzo all’indietro.
Il film si apre su una tela bianca e su una mano femminile che traccia degli schizzi: l’atto creativo così messo a tema diviene un’immediata dichiarazione d’intenti. Da lì in poi sarà proprio un dipinto di Marianne a introdurci nel racconto, attraverso una mise en abyme visiva e ideale che dalla pittura porta all’immagine in movimento e viceversa. Spostandoci dalla cornice al quadro cinematografico, non muta la natura sovversiva della parabola della pittrice, costretta a tenere segreta la propria identità e a ritrarre soltanto soggetti femminili, in quanto donna. Ma al contempo ammessa, proprio in virtù di questo occultamento, al privilegio che altrimenti le sarebbe negato: guardare e trarre piacere dall’oggetto del proprio sguardo. Sarà Héloïse, “la donna del ritratto”, a mettere in crisi la replica di questo modello, sottraendosi inizialmente all’occhio desiderante di Marianne – uno dei momenti più erotici del film, non a caso, è quello in cui la mantella di Héloïse scopre la sua nuca bionda – per vanificare ogni tentativo di riproduzione della propria immagine. Ma, in quella che più che una storia d’amore è una battaglia tra due diversi regimi scopici, la vittoria non risiede tanto nell’avere la meglio l’uno sull’altro, quanto nel riuscire a guardare insieme anche ciò che è tabù e mistero.
È da questa condivisione che prende forma, per le protagoniste, il sogno di una comunità in cui essere finalmente visibili a se stesse: un progetto destinato a infrangersi presto, nel giro di poche ore, contro lo scoglio della realtà e del suo ordine patriarcale. Eppure, ancora una volta, forse basta guardare le cose da un’altra prospettiva per realizzare che il distacco non è che la medicina per preservare il ricordo, e che Orfeo non si è voltato invano.