A due anni da Spira Mirabilis Massimo D’Anolfi e Martina Parenti sono ritornati alla Mostra del Cinema di Venezia con un cortometraggio realizzato a Milano all’interno della TBM, il macchinario deputato a scavare il tunnel delle metropolitane in tutto il mondo. Blu è la linea della metro milanese che renderà la mobilità cittadina degna dei più alti standard europei, ma il risultato dei lavori sarà visibile (e fruibile) soltanto dopo il 2022. Nel frattempo, a diversi metri sotto la superficie della città, dove il buio è materia stratificata e quasi inscalfibile, la TBM percorre gradualmente quello che sarà l’intervallo da una stazione alla successiva, in una sfida all’invisibile, all’inaccessibile, che racchiude tensioni quasi primitive, e forse soltanto gli operai in azione riescono davvero a concepire.
Che il cinema dei due autori si metta a servizio di un processo che coinvolge il rapporto tra tecnologia e umano ingegno, abitando la transizione tra passato e futuro, non appare affatto peregrino: Blu è a tutti gli effetti l’occasione per proseguire un discorso sullo statuto del cinema – suono e immagine – quale spazio di rivelazione del reale. Una discesa che si nutre della metafora – un rapido passaggio su alcuni prelievi del sangue, rituale obbligato per vagliare le condizioni di salute dei lavoratori – e consegna allo spettatore l’intuizione della risonanza profonda di cui gli eventi si fanno portatori, passaggio dopo passaggio, gesto dopo gesto. Dietro a ogni azione manuale c’è un pensiero, dietro a ogni pensiero un’emozione, singola e collettiva, che scorre come linfa tra le viscere di una città, per alimentarne il cambiamento.
Anche nella breve durata D’Anolfi e Parenti rivendicano la libertà di costruire, secondo principi ellittici e soluzioni organiche di montaggio, la qualità esperienziale di questa vita al lavoro. Il magistero incontestabile della composizione visiva porta il film a suscitare la vertigine dell’astrazione, anche quando in quadro sono le delicatissime operazioni di precisione che presiedono agli scavi e agli attraversamenti. Ancora una volta la dignità del lavoro invisibile diventa parte fondante di questo viaggio, dal quale si ritorna in superficie con una nuova consapevolezza, un senso vivo di partecipazione.