Nel cinema di Roberto Minervini, i film nascono gli uni dagli altri, a volte gli uni negli altri, frutto di un lavoro di relazione che si protrae ben oltre il tempo delle riprese, dando luogo a un terreno fertile dal quale far scaturire l’origine di nuovi percorsi. E stato così sin dal suo primo film, The Passage, ed è sul set del secondo, Low Tide, che il regista di origine marchigiana ha conosciuto la famiglia Carlson che poi sarebbe stata al centro di Stop the Pounding Heart; così come sono stati alcuni membri dei Trichell, i bull-rider di quel film a metterlo al corrente della cellula paramilitare poi raccontata in Louisiana (The Other Side). E quasi naturalmente, nel percorso interno ai primi quattro film, lo sguardo si è fatto da intimo a politico, da personale a corale, a voler spalancare l’ambito della propria indagine al più ampio contesto sociale in cui il regista, da oltre quindici anni residente negli Usa, si trova a vivere.

Con What You Gonna Do When the World’s on Fire?, presentato in concorso a Venezia 75, l’approccio radicalmente politico che caratterizzava Louisiana, conduce Minervini davvero to the other side: dalla parte della comunità nera, alle prese con una recrudescenza di intolleranza che scoperchia le tensioni di un razzismo mai sopito. Si tratta davvero di un mondo “altro”, perché sarebbe ingenuo pensare che per entrare nelle vite delle persone filmate non sia stato necessario scavalcare uno steccato, superare una barriera: quella che ancora separa bianchi e neri. È radicata nel cinema di Minervini la necessità di un confronto, l’idea che il film sia una battaglia da combattere, tanto sul piano produttivo che su quello artistico, e l’opera finita è il risultato di una sfida che l’autore compie in primis con(tro) se stesso, superando ansie e paure, ricercando costantemente una propria integrazione al fianco di quella dei soggetti che filma.

Un percorso che ora culmina con straordinaria lucidità nel racconto della comunità nera di Treme, in Louisiana, dove generazioni diverse testimoniano della problematicità di un’assimilazione sociale lungi dall’essere raggiunta. Il bianco e nero della fotografia rende atemporali le esistenze di Judy, Kevin, Titus, Ronaldo e gli altri protagonisti del film, presi in una lotta quotidiana per la sopravvivenza che mostra tante facce diverse: quella di un adolescente che deve fare i conti con il cattivo esempio di un padre assente e una scuola in cui si sente preso di mira dagli insegnanti; quella di una donna con alle spalle un passato di abusi e dipendenze, che ora fatica a tenere aperto il bar che gestisce; quella di una cellula delle Black Panther che lotta contro la propria dissoluzione e si sforza di far sentire la propria voce laddove nessuno sembra volerla più ascoltare. Nella capacità di rendere conto su più fronti di uno stato di emergenza collettiva, Minervini firma quello che è il suo film più maturo, scartando le attese di una messa in scena ormai codificata negli ultimi due magnifici film, per cercare ancora una volta una nuova strada, avventurandosi con coraggio dove nessun bianco era mai stato prima. Facendo palpitare il cuore, forse in affanno ma non ancora pronto alla resa, di chi persevera nella battaglia per un cinema che si faccia strumento di lotta e conoscenza. [Alessandro Stellino]


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LEZIONI D’AMORE

La vocazione didattica dei documentari sul cinema di Mark Cousins è sotto gli occhi di tutti da quando The Story of Film è riuscito a comporre in maniera mirabile un percorso storico sulla settimana arte, spaziando dalle trasformazioni tecnologiche a quelle stilistiche in un atto di sintesi mirabile. Se altri suoi lavori tendono a essere più una compilation di sequenze indimenticabili o da riscoprire (e proprio la cura della scelta dello spezzone è uno dei grandi pregi di Cousins), questo Women Make Films: A New Road Movie Through Cinema ritorna alla sapienza discorsiva che illuminava la sua odissea nella storia del film. Infatti, Cousins – forse anche per evitare di ripetersi – non traccia una storia parallela, quella del cinema realizzato dalla donne, come forse ci si sarebbe aspettati, ma sceglie una strada meno scontata: imbastire una lezione in quaranta punti su come si realizza un film, utilizzando unicamente sequenze realizzate da donne.

Cosa vuol dire costruire un incipit efficace? Come si trova il tono del film? Di cosa c’è bisogno per costruire un mondo e di cosa per definire un personaggio? Come si mette in scena una relazione efficace tra i protagonisti? E come si sviluppa una storia? Quando un film è credibile? E quando un film può dirsi finito? Questi sono solo alcuni degli interrogativi posti dall’autore, che grazie a questa struttura precisa ma estremamente mobile, può spaziare nel cinema di ogni epoca alternando film di propaganda maoista ai blockbuster americani, concentrandosi sul cinema europeo delle nouvelle vague (a cui appartengono tante delle registe scelte, Varda, Chytilova e Muratova ma anche le meno note Zhelyazkova e Shepitko) e quello contemporaneo da grande festival internazionale (Maren Ade, Valenska Grisebach, Andrea Arnold, Mia Hansen-Love). Se si può fare un appunto al mirabile lavoro compiuto, riguarda forse lo spingersi troppo sul contemporaneo, dando spazio ad autrici che hanno ancora molto da dimostrare e traendo poche sequenze da tanto cinema rimosso del passato e dal cinema underground in cui le donne hanno avuto maggiore spazio d’azione. Resta comunque estremamente affascinante l’idea di rifondare l’arte cinematografica a partire dalle autrici, domandandosi se sia possibile, in questa moltitudine di esempi, rintracciare una cifra del femminile. Cousins evita di affrontare direttamente il tema, ma siamo certi che questo viaggio nell’universo femminile possa aprire, a chi voglia intraprenderlo, un nuovo sguardo sul cinema e sul mondo. [Daniela Persico]


SCARPETTE ROSSO SANGUE

LE DOPPIE VITE DEGLI ALTRI

IL CORPO DELLA MEMORIA

NOSTALGIA DEL FUTURO