A Cinecittà, un sabato qualunque di marzo, c’è la fila. Composte e composti, donne e uomini di varie età e etnie aspettano di entrare, non per vedere le rovine di vecchi set, ma per mangiare una pizza o un gelato. Dall’altro lato della strada, una donna ci invita ad entrare in un altro locale, il 23y12, meno affollato ma più orgoglioso, fornito di memorabilia e fotografie di uomini di cinema.

Non siamo a Roma, e questa Cinecittà non è quella che ha fatto la storia del cinema mondiale. Ma la densità cinematografica di questa parte del Vedado, il quartiere “bene” de L’Avana, non è da meno. Basta spostarsi di pochi metri, infatti, per trovare, oltre a locali che richiamano il mondo del cinema, anche diverse sale: l’omonimo 23y12, il Charles Chaplin proprio di fronte a Fresa y Chocolate, un bar/centro culturale dedicato a uno dei film più importanti della cinematografia cubana (Fragola e cioccolato di Tomás Gutiérrez Alea e Juan Carlos Tabío), e poi ancora camminando qualche centinaia di metri, altri che sono o erano cinema, come il Cine Riviera, il Trianon, il Teatro Mella (già cinema Rodi), ma anche il complesso culturale Raquel Revuelta, dedicato a una grande attrice cubana, o il piccolo Rolly. Sempre nel quartiere del Vedado, ma più verso il centro, ci sono anche l’enorme Cine Yara – proprio a fianco alla famosa gelateria Coppelia – e il Cine La Rampa.

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Guardare ai cinema, vederli da fuori e per quanto possibile esplorarli dall’interno, è una delle cifre possibili per cercare di interpretare quest’isola in continuo equilibrio tra passati sfavillanti e futuri incerti. Dei tanti palazzi fatiscenti che popolano L’Avana, non pochi sono cinema, spesso abbandonati o mal ridotti, che convivono però a fianco di altri per salvaguardare e rilanciare i quali sono stati compiuti importanti sforzi economici, in alcuni casi con aiuti dall’estero. Il cinema ha un ruolo importante nell’isola: prima della rivoluzione, enormi e bellissimi palace simili a quelli nordamericani venivano costruiti qui dagli stessi statunitensi che avevamo fatto dell’isola il loro giardino di casa; dopo la rivoluzione, il regime investì sui film e sul cinema, costruendo nuove sale o ristrutturandone altre. Oggi l’ICAIC (Instituto Cubano del Arte e Industria Cinematográficos) è ancora attivo, anche se magari non glorioso come ai tempi delle visite di Sergio Zavattini, il quale venne qui a più riprese negli anni Cinquanta e Sessanta, o anche quelli di registi che hanno fatto la storia del cinema cubano come Alea, Julio García Espinosa, o Humberto Solás. Ci avventuriamo un sabato di marzo al Charles Chaplin per vedere la hit del momento del cinema cubano, ¿Por qué lloran mis amigas?, programmato a grande richiesta all’ultimo momento al posto di Dunkirk. Certo non siamo di fronte a Memorias del subdesarrollo o Lucía (il capolavoro di Solás), quanto ad un prodotto mediocre e un po’ televisivo, nel senso bruttino del termine. Ma, del resto, un cubano in visita in Italia che senza saperne nulla si trovasse ad entrare all’Adriano a Roma o in una qualunque multisala sperando di trovare gli epigoni di Antonioni o De Sica rimarrebbe immancabilmente deluso. E allora va bene così, con lo spagnolo-cubano parlato stretto stretto di queste donne che si ritrovano a confrontare le loro vite dopo venti anni. E va bene anche il documentario sponsorizzato dall’UNESCO che precede il film, oltre mezz’ora mal confezionata sulla paternità (forse per bilanciare il femminile del film di finzione), senza nascondere nulla, con padri gay, divorziati, storie felici e difficili. Va bene perché chi se lo ricorda più, in Italia, il cinema educativo prima dei film di finzione; un cinema insomma che oltre che intrattenere potrebbe e forse dovrebbe anche educare, e va bene anche perché la sala (enorme, intorno ai 1500 posti) è mezza piena, la gente si diverte, quelli fuori posto siamo chiaramente noi. L’ingresso, del resto, è popolare. Costa due pesos, ci mettiamo in fila, coi nostri due oboli a testa, per poi venir redarguiti alla cassa: abbiamo sbagliato moneta, non si tratta di CUC (il peso cubano convertibile, la moneta dei turisti, circa un dollaro l’uno), ma di MN (la Moneda National), il peso dei cubani, che vale circa un 25esimo di dollaro. Ne abbiamo in tasca quasi per sbaglio, anche se una ragazza gentile era già corsa in nostro aiuto per finanziarci. Insomma, entriamo al cinema pagando pochissimo, meno di 10 centesimi di euro a testa, che fatte le dovute proporzioni, in un paese dove lo stipendio medio statale rimane bassissimo, è comunque poco. Il cinema, infatti, è ancora un bene che dovrebbe essere garantito dallo stato. Ma, soprattutto, va bene l’immenso cinema dedicato al “compagno” Charlie Chaplin, dove assistiamo al rinnovarsi di questo rito (a certe latitudini ancora) di massa che è il cinema. Originariamente si chiamava Cine Atlantic, rinominato nel 1983, e restaurato nel 2004, è uno dei cinema più moderni dell’isola; qui si vedono film durante i film festival e successi locali e stranieri. Dentro ha sede anche l’ICAIC, e una stanza aperta direttamente all’esterno raccoglie una selezione dei bellissimi poster cubani, inclusi diversi italiani – come Sacco e Vanzetti. Visto da fuori il Chaplin sembra quasi un grosso palazzo con appartamenti, con le sue finestre tutte uguali e l’aria austera. Ma dentro si apre con un bell’atrio e poi una sala di quelle a cui non si è più abituati, su due piani, con le poltroncine vecchio stile. Difficile non abbandonarsi a un po’ di nostalgia.

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Se poi qualcuno di quei poster vien voglia di comprarli, basta attraversare la strada, dove al Fresa y Chocolate oltre a sorseggiare gli immancabili cocktail su sedie da regista firmate (ci siamo seduti su quella “Julio Garcia Espinosa”) hanno un piccolo negozio con poster e DVD di film introvabili editi dall’ICAIC. L’atrio del Chaplin è bello, ma non regge il confronto con quello del 23 y 12, qualche metro più in là. In stile raffinato sovietico, da fuori rossissimo e con linee eleganti, aperto sin da prima della rivoluzione, ci accoglie in un pomeriggio sonnolento e caldo. Eduardo, il guardiano, ci racconta di quando girava il mondo lavorando per conto del governo cubano, e di come il cinema ancora funzioni e la gente venga con piacere. Ci fa vedere dentro, nonostante sia in corso una proiezione. Aprendo le tende, ci appare il faccione di Harrison Ford in uno degli Indiana Jones. La programmazione, da cineteca, alterna vecchi film a novità, e anche eventi speciali: qualche giorno dopo, ad esempio, si sarebbe potuto vedere Il giovane Marx. L’impianto sonoro, rinnovato nel 2015, è stato donato da Istituto Cinecittà-Luce, Direzione Generale Cinema del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, e Fondazione Ente dello Spettacolo: sintomo che quelle relazioni culturali storiche italo-cubane sono ancora un po’ in piedi. Si può andare avanti per giorni, solo a L’Avana, curiosando tra vecchi cinema, dentro e fuori. E magari vederli anche, i film che le sale ancora attive proiettano. La Cartelera cine y video, un giornale in vendita a poco prezzo nei cinema stessi con la programmazione mensile (soggetta a cambiamenti), ci aiuta nella scelta: il marzo passato a L’Avana si potevano vedere – oltre ai già citati ¿Por qué lloran mis amigas? e DunkirkMother di Aronofski, un documentario spagnolo-brasiliano su Paolo Coelho, The Beguiled di Coppola, o Llmame por tu nombre, che poi sarebbe il successo planetario Call me by your name di Guadagnino. Si può approfondire, grazie al Goethe Institute, la figura del poco conosciuto regista tedesco dell’est Konrad Wolf (retrospettiva interessantissima e ben curata), o gustarsi Indiana Jones o i film di Ed Wood.

C’è chi all’esplorazione dei cinema cubani ha dedicato anni e anni della sua vita: Carolina Sandretto, fotografa italiana trapiantata a New York, ha percorso l’isola in lungo e largo, fotografando edifici che oggi hanno gli usi più disparati (appartamenti, istituzioni culturali, palazzi della rumba ecc.), che erano o in alcuni casi sono ancora cinema. Ne ha fotografati quasi 400, un lavoro immenso spalmato su quattro anni di lavoro, senza una mappa precisa, senza sapere dove si trovassero i cinema, in tutta l’isola. Sul suo sito si possono vedere le foto di moltissimi di questi, inclusi quelli costruiti da 20th Century Fox, Columbia Pictures and Metro Goldwin Meyer e i molti costruiti dopo la rivoluzione. Quello di Sandretto è un viaggio incredibile, a cui possiamo avvicinarci attraverso il sito, navigabile e diviso in categorie, e il libro. Anche qui, senza nostalgia: Sandretto sembra interessata a cogliere il tempo che passa e che è passato, dando dignità agli edifici in sé, non solo come ex-cinema depositari di un tempo che fu (e che non può tornare, non illudiamoci) ma anche come oggetti-documenti di un presente in evoluzione e trasformazione.

A Cinecittà, un sabato di marzo, c’è la fila. Ma per fortuna, molti cubani, oltre che al Restaurant Cinecittà, ogni tanto vanno anche al cinema.

[Grazie a Teresa Rossi]