I did not hit her, it’s not true! It’s bullshit! I did not hit her! I did not. Oh, hi Mark!
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I definitely have breast cancer.
Tra una veduta e l’altra di Los Angeles, un giovane bancario progetta di sposare la fidanzata ma, quando viene a sapere che quest’ultima lo tradisce con il suo migliore amico, si suicida. Nel frattempo, la madre della ragazza scopre di avere un cancro al seno e un loro giovane amico è minacciato da uno spacciatore. Questa è, in buona sostanza, la trama The Room, prodotto sgangherato quant’altri mai, tanto da essere anche conosciuto come “il Quarto potere dei film brutti”. Girata male, recitata malissimo e scritta con una vena di inconsapevole surrealismo, l’opera diventa, prevedibilmente, oggetto di culto tra i cinefili apologeti del trash.
La parabola di Tommy Wiseau ‒ regista, protagonista, sceneggiatore e produttore del film sopraccitato ‒ raccontata in The Disaster Artist, segue una direzione bizzarra. Tommy ha un conto in banca spropositato e può inseguire, senza alcun sacrificio economico, i suoi sogni di divo hollywoodiano insieme all’amico Greg Sestero. Tuttavia, essendo egli totalmente privo di alcuna dote attoriale, decide di autoprodursi il proprio film senza badare a spese. È libero, quindi, di esprimere romanticamente la propria creatività senza curarsi di eventuali barriere produttive.
È palpabile, nella vicenda e nella psicologia dei due personaggi principali, una nota di sconsiderata ingenuità. Se Tommy altro non è che un inane fallito, convinto che basti crederci per ottenere i risultati sperati, Greg è totalmente privo di senso critico e si lascia ammaliare dalle estrose performance del suo mentore. Ma non è detto, ci insegna il film, che dietro l’eccentricità si celi il genio. Al contrario, la dura realtà rivela che, per la legge dei grandi numeri, è più probabile trovare un cretino dietro ai veli della stramberia.
L’interesse principale di The Disaster Artist risiede nell’assoluta spregiudicatezza con cui James Franco mette alla berlina le sciocche illusioni e i sicuri fallimenti del loser. Facendo ciò, il film utilizza, curiosamente, le medesime strategie narrative di quei prodotti che fanno del trionfo del talento incompreso, o del riscatto di chi non ha i mezzi per esprimerlo, la propria bandiera ideologica. Tommy Wiseau appare come un underdog, e Greg è il solo a comprenderne l’apparente genialità. Quest’ultimo si illumina nel vedere l’amico perdere i freni inibitori alla scuola di recitazione, ed è per lui rivelatorio il dialogo shakespeariano che provano insieme al diner. Peccato che entrambi – totalmente sopraffatti dal principio di piacere – non comprendano la reazione imbarazzata degli astanti.
Basta, dunque, invertire la classica polarità che mette in conflitto i mezzi con il talento per creare un prodotto che decostruisce dall’interno la retorica dell’opportunità. Nella vicenda di Tommy Wiseau i soldi non mancano per acquistare costosi macchinari e per pagare le migliori maestranze. Mancano, invece, le basi per poter realizzare un’opera che non sia un misero fallimento. Analogamente, Greg crede eccessivamente nelle possibilità dell’amico e, nonostante abbia alcune qualità fisiche per interpretare qualche parte in produzioni importanti, fallisce anche come attore di secondo piano. Puntuale è, a tal proposito, la sequenza in cui Tommy cerca di farsi scritturare da un famoso produttore, intento a consumare la cena al ristorante, in cui quest’ultimo gli rivela che “Just because you want it, it doesn’t mean it can happen. It’s one on a million, even if you have Brando’s talent. It’s not gonna happen for you”. Sotto la scorza della romantica apologia dell’autore maledetto, alla maniera di Ed Wood di Tim Burton, The Disaster Artist rivela un raro scetticismo di fondo. Da tale approccio, tuttavia, emerge una lezione importante: qualche volta è meglio mollare.