Primo film proiettato la mattina dopo l’apertura della 67a Berlinale, Orso d’oro alla sua chiusura: il verdetto finale a favore di Corpo e anima ha interdetto i non pochi fan di Aki Kaurismäki che avrebbero voluto vedere consacrato una volta per tutte l’autore finlandese e i molti che hanno rilevato la mancanza di veri capolavori nella selezione berlinese di quest’anno. Pur condividendo queste valutazioni, va sottolineato che, da un lato, il film dell’ungherese Ildikó Enyedi ha raccolto consensi trasversali ottenendo anche il primo premio della Giuria Fipresci e il massimo riconoscimento di quella Ecumenica; dall’altro, la regista nata a Budapest nel 1955 è sì poco prolifica ma tutt’altro che frequentatrice occasionale del cinema d’autore europeo.
Difatti, Enyedi si trovava alla Berlinale già venticinque anni fa come giurata dell’edizione 1992, quando era appena una giovane promessa dopo aver vinto la Caméra d’or a Cannes 1989 col suo primo lungometraggio, uscito anche in Italia col titolo Il mio XX secolo. Si sono poi succeduti il Concorso a Venezia con il thriller faustiano Büvös vadász (Magic Hunter) nel 1994, le partecipazioni ad alcuni altri festival europei con Tamás és Juli (1997) e Simon Mágus (1998), premiato a Locarno e a Lecce. Tutte opere presenti nell’omaggio a Enyedi curato da Massimo Causo per l’Infinity Festival di Alba nel 2005, che includeva anche cortometraggi come Flort (Flirt), girato e interpretato nel 1979 in stato di ipnosi, o l’adattamento de L’invenzione di Morel di Bioy Casares dal titolo Vakond (Invasions), del 1986.
Ecco che dunque un Orso d’oro assegnato un po’ a sorpresa e l’annunciata uscita del film premiato in Italia – acquistato da Movies Inspired – possono servire a riscoprire un’autrice singolare e alquanto ignorata negli ultimi anni, trascorsi per lo più a dirigere l’In Treatment magiaro. L’indagine psicologica di un’umanità messa di fronte a scelte esistenziali decisive è in effetti una costante di tutti i film della regista e uno degli elementi che ritornano su più livelli nel suo cinema, i cui ingredienti principali sono una buona dose di cinefilia applicata a intrecci surreali in bilico tra scienza, magia e spiritualità.
Quali sono dunque le corde che la visione di Corpo e anima può far vibrare negli spettatori disposti a lasciarsi trascinare emotivamente nel mondo di Enyedi? In sintesi, il film tratta di corpi e di anime disegnando una parabola che dal gelo porta al disgelo. Lo fa materializzando sullo schermo con non poche finezze di messa in scena e di edizione la vita e il mondo interiore dei due protagonisti: lui, Endre, è il direttore finanziario del mattatoio dove lei, Maria, entra come impiegata deputata al controllo qualità; lui è un uomo ormai maturo, con il braccio sinistro paralizzato (qualche riferimento a Il cavallo di Torino del compatriota Béla Tarr?) e la memoria lontana di una vita coniugale terminata anzitempo, mentre lei, anaffettiva e autistica con qualche eccesso di caratterizzazione, una relazione sentimentale non l’ha mai avuta.
Intorno a Endre e Maria si agitano corpi umani e animali, i colleghi di lavoro e i bovini che attraversano uno dopo l’altro la catena della macellazione, filmata in tutti i suoi passaggi. Analizzando il film, l’accumulo di elementi che significano tutti la stessa cosa non è esente da didascalismi ma va riconosciuta a Enyedi la cura dei dettagli, dei gesti, delle rifrangenze degli impulsi dell’anima sui corpi (più che viceversa). L’equilibro ricercato dall’autrice anche in questo suo ultimo lavoro è dunque quello tra il materialismo della rappresentazione molto concreta della quotidianità di Endre e Maria e una dimensione magica compresente, che viene introdotta nell’intreccio dal fatto che i due protagonisti scoprono per caso di stare facendo da tempo lo stesso sogno, di ritrovarsi ogni notte in sogno tramutati in cervi: un fatto come questo non si spiega ma, nel film, è semplicemente dato; i due personaggi non l’hanno scelto e non possono capirne le ragioni, possono soltanto agire di conseguenza, esporre e confrontare i propri sentimenti… sono le regole dell’attrazione, fisica e spirituale, che in tanti casi si scatena tra soggetti molto diversi tra loro senza che nessuna norma possa contenerla. Un messaggio dalle implicazioni non secondarie se si pensa che l’Ungheria dei giorni nostri sta diventando un paese sempre più intollerante, censore e castrante ogni desiderio di alterità.