Il cinema indipendente lavora per tradizione sul sovvertimento del modello classico di narrazione hollywoodiana. Quest’ultimo prevede un’iniziale situazione di equilibrio, che viene guastata per essere infine ristabilita con le necessarie modifiche; le azioni che conducono attraverso queste tre fasi distinte sono legate tra loro da una relazione di causa-effetto; allo spettatore vengono fornite informazioni e punti di vista di volta in volta privilegiati per comprendere quello che accade sullo schermo. All’opposto di questo schema, si collocano alcuni esempi di cinema sperimentale che hanno provato ad abbandonare del tutto la narrazione. Il cinema indie si avvicina, nel suo complesso, al paradigma hollywoodiano, in quanto conserva un’ossatura narrativa ma, al contempo, tende a trasgredire alcune delle principali norme del modello classico, approssimandosi in questo al cinema sperimentale.
Accanto a strategie di riduzione e disfacimento dell’intreccio, i registi indipendenti ne adoperano altre volte a complicare e moltiplicare i fili narrativi. Uno degli schemi più diffusi della produzione indie diventerà proprio quello del racconto a focalizzazione multipla, con l’assunzione di un punto di vista instabile, che passa di volta in volta a personaggi diversi, scardinando la gerarchia classica di protagonista e personaggi secondari. In questo senso, una pietra miliare di tali riformulazioni del racconto è proprio Slacker di Linklater. Il film sulla gioventù spiantata di Austin è infatti un esempio di racconto a più voci, dove l’elemento di sorpresa per lo spettatore risiede nel modo in cui il regista collega tra loro i frammenti narrativi. I nessi tra le sequenze emulano l’imprevedibilità dell’incontro casuale, con un personaggio che si imbatte nell’altro quasi sempre in luoghi di passaggio (strade, bar, librerie…). Il film successivo di Linklater, La vita è un sogno, riprenderà solo in parte questo schema, per puntare invece sull’immedesimazione dello spettatore con il giovane Mitch alle prese con gli studenti più grandi. Da Slacker in poi, la coralità diverrà un elemento costante per il regista texano, anche se non si configurerà più in maniera così radicale.
Accanto alla sperimentazione di narrazioni a focalizzazione multipla, la filmografia di Linklater si caratterizza per un interessante paradosso, ovvero per la coesistenza di titoli che, invece, intendono ricalcare la classicità hollywoodiana, quando non sono vere e proprie riscritture di prodotti da studio. Giustamente Roberto Lasagna ha definito quello di Linklater come un cinema «che s’invera nella rappresentazione, nella finzione quale ipotesi configurante una temporalità unica e particolarissima», dove il classico tende a invadere i territori dell’indie e viceversa. Se La vita è un sogno può essere anche letto come una rivisitazione di American Graffiti (Id., George Lucas, 1973), ad esempio, Newton Boys (The Newton Boys, Richard Linklater, 1998) è assimilabile a una versione di La vita è un sogno collocata in un gangster movie hollywoodiano: quattro giovani sognatori alle prese con la messa a segno di alcune rapine. La diversione storica presente in quest’ultimo film, così come quella di Me and Orson Welles (Id., Richard Linklater, 2009), si rivela alla prova dei fatti un’altra modalità attraverso la quale Linklater lavora e sperimenta sul tempo. In questi casi lo fa tracciando una traiettoria radicalmente diversa rispetto a quella dei film dell’hic et nunc, basati sull’urgenza di cogliere l’attimo, anche attraverso l’illusione della presa diretta (Before Sunset. Prima del tramonto [Before Sunset, 2004], Tape [Id., 2001]). In Newton Boys e Me and Orson Welles il cinema diviene il mezzo per mettere a confronto i giovani anarcoidi linklateriani con il tempo passato e codificato come Storia. La loro presenza, in contesti temporali diversi dal presente, evidenzia una comune ricerca di appartenenza, un’analoga tensione a forzare i limiti della cronaca e dell’aneddoto. Quasi a corroborare la visione umanista di Linklater – che troverà la sua apoteosi nella celebrazione degli istanti quotidiani contenuta in Boyhood (id., 2014) – anche questi personaggi rivendicano l’unicità delle loro esistenze e l’irripetibilità delle loro gesta.
Sul fronte opposto, la riscrittura del classico operata da Linklater può procedere per accumulo di forme e stilemi, fino alla creazione di mondi cinematografici incoerenti e imprevedibili. È il caso di Waking Life (Id., 2001), dove l’animazione (effettuata, oltretutto, con una tecnica “storica” come il rotoscoping) viene contaminata con la fantascienza e con lo schema classico del viaggio dell’eroe. Ma la combinazione degli elementi prelevati dall’immaginario spettacolare e distopico è tale da produrre una visione eccessiva, deflagrante e instabile. Una sorta di seduta psicoanalitica dove i nessi di senso che Hollywood tende a sclerotizzare si disfano sotto i nostri occhi.
La filmografia di Linklater è mossa dall’idea di rendere lo spettatore conscio della temporalità cinematografica. Da un lato enfatizzando la durata di azioni che nel cinema classico sarebbero considerate irrilevanti, e dunque interrogandoci direttamente sul funzionamento e l’artificiosità di alcune convenzioni cinematografiche; dall’altro mettendo i personaggi nella condizione di voler evadere dal tempo, dalla realtà in cui sono immersi, sempre collegata agli aspetti più deteriori dell’identità americana. Si vedano, ad esempio, i lavoratori di Fast Food Nation (Id., 2006), incastrati in una repellente catena di montaggio al servizio del consumo della nazione; oppure la droga Sostanza M e la paranoia che l’accompagna in A Scanner Darkly. Un oscuro scrutare (A Scanner Darkly, 2006); o, ancora, l’incapacità degli abitanti di subUrbia (Id., 1996) di abbandonare «the Corner». Il lavoro sul tempo condotto dal regista texano porta a riflettere sull’importanza di vivere l’istante, sulle relazioni del presente con il passato e il futuro, sulla soggettività del tempo, che tende a corrispondere poco a una concezione scientifica e lineare, e molto, invece, ai nostri incubi e desideri. La fascinazione di Linklater per il mezzo cinematografico deriva in primis da questa possibilità di estendere, rallentare, elidere, accorciare e distorcere il tempo. O, meglio, dall’illusione di poterlo fare.
L’esplorazione della dimensione temporale si traduce in una riflessione sulla vita che scorre, in Boyhood e nei tre film che compongono la cosiddetta “trilogia Before”: Prima dell’alba (Before Sunrise, 1995), Before Sunset. Prima del tramonto, Before Midnight (Id., 2013). Percorsi individuali o di coppia, manchevoli di una storia dominante, questi film rappresentano il tentativo di dare una forma cinematografica alla transitorietà della vita umana. Sono anzitutto pellicole su personaggi che avanzano, a livello metaforico e fisico: mentre camminano per Vienna o Parigi, Jesse e Céline evolvono nella loro relazione, crescono, riconoscono gli snodi esistenziali che la quotidianità tende a celare. Così, se la poetica di Linklater celebra la banalità della vita di tutti i giorni, essa paradossalmente incoraggia il sovvertimento delle abitudini, spingendo a “prendersi il proprio tempo” per conoscersi e per conoscere l’altro. In maniera quasi eversiva, come gli slackers dei primi film. L’incontro fortuito tra Jesse e Céline non può che nascere, infatti, da una trasgressione (Céline scende dal treno con Jesse a Vienna, invece di tornare subito a Parigi), da un atto deliberato e volontario di scelta sul proprio tempo. E così la crescita di Mason, in Boyhood, è segnata – pur nella casualità delle vicissitudini famigliari – da momenti di consapevole vagabondaggio, come quando il ragazzo parte alla scoperta di Austin, dove vive la sua prima avventura romantica e il suo primo vero distacco dalla madre. In questi film Linklater porta alle estreme conseguenze l’utopia di un cinema fatto della stessa sostanza della vita vera: la trilogia in un modo, e Boyhood in un altro, mostrano l’invecchiamento dei loro personaggi. O meglio, l’invecchiamento degli attori, ripresi a distanza di anni e, dunque, in apparente trasformazione fisica davanti agli occhi dello spettatore. La lezione della Nouvelle Vague è chiarissima, tanto che l’interprete di Mason, Ellar Coltrane, verrà immediatamente paragonato al Jean-Pierre Léaud di François Truffaut. Oltre a questo, la scuola europea influisce anche sulla scrittura di questi film, rielaborati di volta in volta insieme agli stessi attori.
L’elemento autobiografico costituisce un’altra ricorrenza nel cinema di Linklater, che, proprio come i registi che ha ammirato in gioventù, non è mai stato capace di scindere i suoi film dalla propria esperienza personale. Le ferite del tempo, che percepiamo soprattutto sui corpi in evoluzione della trilogia e di Boyhood, sono le stesse che hanno segnato l’esistenza del regista. Terzo figlio di una madre molto giovane («Una ragazza molto cattolica»), Linklater conosce, a otto anni come Mason, il dolore del divorzio dei genitori. Con la madre e le due sorelle maggiori si trasferisce quindi a Huntsville, una cittadina del Texas di 15 mila abitanti, con un solo semaforo e un solo cinema. Dopo la separazione, la madre torna a studiare, prende il diploma e arriva a insegnare all’università, esattamente come il personaggio interpretato da Patricia Arquette in Boyhood.
Siamo cresciuti insieme. Lei studiava per gli esami ed era sempre presa a preparare le sue dissertazioni. Boyhood è [un film] molto personale.
Anche Tutti vogliono qualcosa (Everybody Wants Some!!, 2016) è profondamente autobiografico, riannodando i fili dell’esperienza giovanile di Linklater. Dopo aver iniziato il college con una discreta carriera nel baseball, Richard ha dovuto rinunciarvi a causa di un problema cardiaco. Ma non avrà molto tempo per deprimersi:
Avevo iniziato a uscire con una ragazza del Dipartimento di Arte Drammatica, un’attrice, e ricordo di essere andato a vedere un paio delle produzioni a cui lavorava. Poi ho incontrato i suoi amici ed è stato come se quell’universo si fosse dischiuso davanti ai miei occhi. Sembrava davvero eccitante.
Tutti vogliono qualcosa si ferma a questo passaggio, con la storia di un giovane che, la settimana prima dell’inizio del college, esperisce la pienezza di possibilità propria dei momenti di attesa. Nella realtà Linklater, grazie all’incontro con il teatro, ha trasferito alla drammaturgia l’interesse che sino a quel momento aveva dedicato completamente alla letteratura, e ha iniziato a scrivere alcuni testi sulla scorta dei suoi nuovi beniamini: Edward Albee, Eugene O’Neill, Sam Shepard. Per un semestre il giovane Richard si concentra su questi autori, ma nel frattempo i videoregistratori si diffondono e anche lui, insieme ad alcuni compagni di studi, inizia a consumare cinema in maniera massiccia nel Dipartimento di Inglese. Dopo pochi mesi, il regista decide di abbandonare l’università e inizia a lavorare su una piattaforma petrolifera: nel tempo libero frequenta le sale cinematografiche, guardando anche quattro film al giorno, quasi tutti del passato. La tappa successiva sarà il trasferimento a Austin, dove l’influenza del clima bohémien e le conoscenze del periodo verranno trasposte nei personaggi strampalati di Slacker.
Nel 1989, agli albori della sua carriera cinematografica, Linklater si reca a Philadelphia per fare visita a una delle sorelle. In un negozio di giocattoli si imbatte in una ragazza più giovane di lui, Amy. I due iniziano a parlare, e trascorrono la notte a passeggiare per la città. Dopo quell’incontro, Richard e Amy rimangono per un po’ in contatto, ma poi si perdono di vista. Da questo episodio Linklater trarrà il primo capitolo della sua trilogia, Prima dell’alba, dando avvio a una narrazione che si svilupperà per i successivi diciotto anni. In tutto questo arco di tempo, il regista non ha mai rivelato il nome della musa ispiratrice, deciso a mantenere il segreto. Tuttavia, nel 2010 è stato raggiunto da una sconvolgente notizia: per un tragico scherzo del destino, Amy è morta in un incidente stradale nel 1994, a soli ventiquattro anni, senza aver saputo di Prima dell’alba. Fino a quel momento, il regista aveva sperato di vederla arrivare a una delle proiezioni della trilogia. Before Midnight, realizzato nel 2013, è dedicato alla memoria della ragazza che, inconsapevolmente, ha ispirato il personaggio di Céline.
Nonostante i suoi film contengano costanti riferimenti agli episodi più decisivi della sua vita – che non corrispondono quasi mai a riti di passaggio “ufficiali” – Linklater è piuttosto schivo con la stampa e raramente parla della propria famiglia. Unica eccezione, la figlia maggiore Lorelei che, da quando era una bambina fino alla maggiore età, ha interpretato la sorella maggiore di Mason in Boyhood:
Ci fu un anno in cui non voleva fare il film. Si sentiva più consapevole, la pubertà si faceva sentire. Ma poi ha capito che sarebbe stata pagata, e così ha detto: «Oh, OK!» […] Ora è un’artista. Le ho detto che l’avrei supportata in qualunque cosa avesse deciso di intraprendere. Fanculo il denaro, fanculo la carriera, fai solo ciò che ti soddisfa: potresti essere così fortunata da trovare il modo di poterci vivere. Io ci sono riuscito.
Oltre a Lorelei, Linklater è padre di due gemelle di undici anni: un’esperienza che ritorna identica in Before Midnight, dove Jesse e Céline sono genitori di due bambine.
Pur narrando storie in cui i protagonisti sono invitati a sperimentare ed esporre il loro universo emotivo e intellettuale, spesso attraverso un viaggio che diviene divagazione conoscitiva, il cinema di Linklater è anche abitato da una profonda esigenza di maestri. La celebrazione dell’amatorialità, di cui Linklater stesso è un rappresentante in quanto regista autodidatta, si accompagna dunque al più realistico riconoscimento della necessità di una guida. Quest’ultima è rappresentata secondo modalità molto differenti, spesso cortocircuitando il piano della realtà con quello della finzione. Si veda ad esempio Louis H. Mackey, professore di filosofia presso la University of Texas at Austin, che appare in Slacker nei panni di Old Anarchist e in Waking Life nei panni di se stesso. A Scanner Darkly. Un oscuro scrutare verrà dedicato alla sua memoria, a testimonianza di un legame che ha oltrepassato la dimensione cinematografica. O, ancora, si consideri la figura paradigmatica dell’allenatore/insegnante su cui si basano Bad News Bears. Che botte se incontri gli Orsi (Bad News Bears, 2005), il documentario sul baseball Inning by Inning: A Portrait of a Coach (2008) e School of Rock (The School of Rock, 2003). Un personaggio che è sempre caratterizzato, però, da una scarsa aderenza alle regole e alle convenzioni, che fa di lui, nei casi più estremi, un vero e proprio “cattivo maestro”.
Gli studiosi e i critici del cinema di Linklater hanno costantemente evidenziato la vischiosità del confine tra autorialità e perizia registica applicato alla sua figura. Film come Before Midnight, Fast Food Nation e School of Rock sembrano non avere nulla a che vedere tra loro. Eppure, analizzati l’uno alla luce dell’altro, consentono di intravedere una analoga consapevolezza della cinefilia che anima il loro autore. Quasi tutte le pellicole della filmografia di Linklater – anche le più insospettabili – risuonano di riferimenti a registi e autori della scena art house. Spesso i loro nomi coincidono con i protagonisti di omaggi e retrospettive alla Austin Film Society. Il riferimento più esplicito è forse quello a Robert Bresson, autore di uno dei titoli più amati da Linklater, L’argent (Id., 1983): in Slacker il regista francese viene citato più volte, attestando lo statuto culturale dei protagonisti – giovani spiantati, ma di raffinata formazione cinefila. L’allusione letteraria o filosofica, d’altra parte, è una costante dei film di Linklater. Dal rimando extradiegetico a James Joyce, con la fascinazione per il racconto di un giorno di vita di uno o più personaggi – Slacker, la trilogia inaugurata da Prima dell’alba (ambientato durante il Bloomsday, il 16 giugno, ovvero il giorno in cui si svolge Ulisse) – fino ai riferimenti interni alla narrazione, come Georges Bataille e Thomas Wolfe in Prima dell’alba, Cesare Pavese in It’s Impossible to Learn to Plow by Reading Books. Altri maestri del cinema europeo che lo influenzano profondamente, anche se non in maniera dichiarata, sono Andrei Tarkovsky, Carl Theodor Dreyer, Jean-Luc Godard e Chantal Akerman. Inoltre, come gli altri registi della sua generazione, Linklater ribadisce spesso il proprio debito e amore verso il cinema della New Hollywood: Bad News Bears. Che botte se incontri gli Orsi è un vero e proprio remake del quasi omonimo film del 1976 di Michael Ritchie, con Walter Matthau (Che botte se incontri gli “Orsi” [The Bad News Bears]); Newton Boys non sarebbe stato concepito, forse, senza la visione di Butch Cassidy (Butch Cassidy and the Sundance Kid, George Roy Hill, 1969), così come La vita è un sogno senza American Graffiti e senza l’uso dello slow-motion di Martin Scorsese in Mean Streets. Domenica in chiesa, lunedì all’inferno (Mean Streets, 1973). Il cinema d’avanguardia riecheggia invece nel film d’esordio, It’s Impossible to Learn to Plow by Reading Books, dove si riprende il lavoro di James Benning e, in maniera più imprevista e decisamente ironica, in School of Rock, dove l’inizio richiama apertamente Scorpio Rising (1965) di Kenneth Anger.
[testo tratto da Richard Linklater. La deriva del sogno americano di Francesca Monti e Emanuele Sacchi, Bietti 2017, e pubblicato con il titolo Universi narrativi nel cinema di Linklater. Dalla riscrittura della Storia all’autobiografia]