Grazie alla vittoria del Pardo d’oro con il suo ultimo film, Mrs. Fang, Wang Bing è, – dopo Gianfranco Rosi – il secondo documentarista a ottenere il premio principale in uno dei maggior festival europei, storicamente più propensi a premiare opere di fiction. Questa leggera inversione sembrerebbe indicare come il documentario non sia più da considerarsi un sottogenere del cinema narrativo, ma, piuttosto, un mezzo indispensabile d’intervento politico ed estetico, in un’era in cui il dibattito sui concetti di verità e reale è diventato sempre più urgente.
A Locarno, due giorni prima della premiazione, abbiamo parlato con Wang Bing delle sue influenze, della dimensione geopolitica del suo lavoro, e della realizzazione di Mrs. Fang.
Può presentare brevemente Mrs. Fang?
Mrs. Fang è stato commissionato da Documenta 14 e concepito come un’opera di video-arte. In seguito, è stato anche invitato al Locarno Film Festival. Fang Xiiyong è la madre di una mia cara amica. Avevo intenzione di fare un documentario su di lei nel 2015, ma è stato posticipato perché all’epoca avevo altri impegni. Nel 2016 la mia amica mi ha telefonato per dirmi che la malattia di sua madre si era aggravata e che non sarebbe sopravvissuta a lungo. Sono andato da Fang Xiuying immediatamente. Quando sono arrivato, mi sono reso conto che sarebbe stato difficile realizzare un documentario su di lei. Ho esitato un po’, però alla fine ho deciso di filmarla. Abbiamo filmato gli ultimi otto giorni della sua vita, quindi è la storia di una donna anziana che sta morendo.
Nei primi tre minuti di Mrs. Fang, si vedono filmati di Fang ancora in uno stato relativamente funzionale e parzialmente lucida. Cosa pensava del fatto di essere filmata?
All’epoca – nel 2015 – aveva già perso la capacità di parlare, però si ricordava ancora dei figli. Per esempio, ogni volta che sua figlia veniva a casa, lei si avvicinava e le prendeva la mano. Non credo capisse cosa significhi essere filmati. Io l’ho solo ripresa quando era felice e non stressata, quindi non ho molto materiale di lei in uno stato di salute, solo qualche sequenza. Pensavo che avrei avuto più tempo, ma la vita è precaria. Alla fine, il tempo che ho potuto passare con lei è stato molto breve.
Ci sono tre tipi di inquadrature in Mrs. Fang: close-up del viso di Fang; inquadrature della stanza di Fang in una disposizione teatrale, con il letto in primo piano, la famiglia di Fang che si prende cura di lei in piano medio e sullo sfondo altre persone che parlano tra loro e guardano la tv; infine, ci sono riprese con camera a mano del cognato di Fang impegnato con la “pesca elettrica”. Quando le è venuta in mente questa struttura visiva, durante le riprese o in montaggio?
La struttura è stata stabilita durante le riprese. Ho usato principalmente due obiettivi. Uno è un teleobiettivo 80 mm, l’altro un grandangolo 19 mm. Per gli interni è sempre meglio usare inquadrature fisse con profondità di campo o close-up, mentre per gli esterni ho cercato di usare movimenti di camera per rendere il tutto più dinamico e bilanciato.
Ha una videocamera che usa abitualmente?
Cambio sempre le videocamere secondo le situazioni. Ho iniziato facendo film con una MiniDV, poi HDV, e ora sto usando una video camera digitale 4K. Spesso si parla di cinema in termini di composizione, colore, fotografia, etc. Tuttavia, l’immagine da sola non è di alcuna utilità. Il cinema non è né la composizione né il colore, ma il bilanciare le dinamiche di potere, il continuo cambiamento.
Come si trova, di solito, questo equilibro tra le dinamiche di potere?
È una questione di pratica. Ora, in qualsiasi situazione, sono in grado di trovare l’equilibrio in un minuto.
Perché, prima e dopo la morte di Fang, ha girato le scene con suo cognato intento a pescare, una delle quali è il long take alla fine del film? C’è un significato simbolico in queste sequenze?
La regione dove Fang viveva è conosciuta in Cina come “la terra fertile del pesce e del riso”. Purtroppo ora tutto sembra cadente. Le persone più anziane non hanno molto da fare e, per aiutare le famiglie, qualche volta vanno a pescare al lago. Una sera, mentre stavo filmando Fang, suo cognato mi ha detto che stava andando a pescare. Ho pensato che era un’occasione per vedere come vivevano le persone intorno a Fang. Così sono andato con lui e ho ripreso tutto. La ragione per cui questo tipo di scene è girato di notte è perché in Cina la “pesca elettrica” è illegale. Oggi l’allevamento ittico in tutti i fiumi e laghi della Cina rurale è appaltato. Le persone ordinarie non hanno più accesso alla pesca. Le risorse naturali della campagna sono esaurite, anche nella vera “terra del pesce e del riso”.
Da tempo volevo chiederle come è riuscito a catturare la telefonata alla fine di Chronicle of a Chinese Woman (2007). Nel film, dopo tre ore di inquadrature fisse in cui la protagonista racconta le persecuzioni subite durante la campagna anti-destra degli anni ’50, arriva è questa telefonata inaspettata che rivela come He faccia ancora la vita dell’attivista e sia in contatto con altri sopravvissuti dei campi di lavoro. Questo finale sembra collegare simbolicamente la storia traumatica della Cina al suo presente: la chiusura del film suggerisce che quella fase storica è tutt’altro che conclusa.
Avevo preso in prestito una telecamera, comprato un obiettivo e guidato per tutto il giorno verso Lanzhou. Senza riposarmi ero andato direttamente a filmare He Fengming. Quando è arrivata la telefonata, ho provato un grande sollievo. Nei primi anni 2000, ero al Festival Internazionale di Rotterdam e sono entrato casualmente in una sala. Mostravano un film in cui si vedeva solo un’anziana signora parlare, il montaggio era quasi completamente assente. Nonostante non sapessi nulla del film e non riuscissi a capire ciò di cui la signora stesse parlando, ho pensato che il film fosse assolutamente geniale. Solo diversi anni dopo ho scoperto che si trattava del film di Jean Eustache Numéro Zéro (1971), dove il regista ha filmato sua madre che raccontava la storia della sua vita. Il film esemplifica i pregi dell’assenza di montaggio.
Il film di Eustache è stato d’ispirazione per la realizzazione di Chronicle of a Chinese Woman?
In un certo senso, sì. Ho usato un simile metodo di montaggio minimale in Chronicle of a Chinese Woman. Può essere facile girare adoperando questa metodologia, ma è difficile capire se può effettivamente produrre un buon film.
Le è mai capitato di fallire? Per esempio, di avere molto materiale girato ma non poterlo usare, o di non sapere come finire un film dopo un lungo periodo di riprese?
Mai. Non c’è mai stato un progetto che non ho finito. Forse solo una volta, ma non per colpa mia. Dopo aver girato Three Sisters (2012) ero molto interessato a un villaggio vicino a dove le tre sorelle vivevano. All’epoca mi sono ammalato, così ho assunto un po’ di operatori per girare qualche scena nel villaggio mentre mi riprendevo dalla malattia. Hanno girato per qualche mese ma il materiale non era soddisfacente, quindi non l’ho potuto usare. In ogni caso, tutti i progetti che ho iniziato di persona li ho sempre portati a termine. Ogni volta pianifico in anticipo e stimo con precisione il tempo di cui avrò bisogno.
Per quello che ho capito della sua prassi, la scelta della location è una parte importante, se non fondamentale, del processo artistico. Sembra che la sua produzione cinematografica possa essere divisa in tre fasi: Tie Xi Qu: West of the Tracks (2002), Chronicle of a Chinese Woman (2007) e The Ditch (2010) sono stati girati in posti dove aveva vissuto e con cui aveva familiarità – Shenyang, dove ha studiato, e il Nord-Ovest della Cina, dove è cresciuto; poi si è trasferito nella provincia dello Yunnan, nel Sud-Ovest della Cina, dove ha girato, tra gli altri, Three Sisters (2012), Til Madness Do Us Part (2013), Father and Son (2014). Ho letto che ha incontrato le tre sorelle mentre si recava a visitare la madre di un suo amico deceduto, lo scrittore Sun Shixiang, che viveva nello Yunnan rurale ed è tragicamente morto all’età di 32 anni. Grazie a questo aneddoto ho avuto la possibilità di scoprire il romanzo autobiografico di Sun, Shenshi (History of the Gods), un’epica della vita rurale in Cina.
Sì. È un romanzo importantissimo, purtroppo è ancora sconosciuto e poco considerato.
Poi ha seguito dei giovani dallo Yunnan alla Cina dell’Est, dove sono diventati lavoratori migranti, e dove sono girati i suoi film più recenti. Può dire qualcosa sulla sua pratica registica riguardo a questi luoghi differenti? In particolare lo Yunnan, dove ha passato i suoi anni più prolifici.
Per me, posti diversi significano diversi spazi cinematici, di conseguenza il mio approccio alla narrazione e il piano di lavorazione cambiano a seconda del posto. In Tie Xi Qu gli abitanti del Nord-Est sono ritratti così come sono. Per descrivere il Nord-Ovest della Cina, invece, ho usato come soggetto la prigione. Questo perché nella millenaria storia cinese il Nord-Ovest è stato il luogo dove le persone erano imprigionate o esiliate. È ancora possibile trovare tracce della loro esistenza in quei luoghi. Le prigioni possono dirci molto sulla politica del passato e del presente. Essendo cresciuto nel Nord-Ovest so cosa effettivamente significhi vivere là. Per questo, non impiego quello sguardo esotico che è invece presente in Yellow Earth (1984) di Chen Kaige e Zhang Yimou.
Una piccola digressione: nel passato, il cinema cinese è stato soprattutto cinema istituzionale. I film sono da considerarsi più propaganda che cinema. Film come Yellow Earth non sono delle vere forme d’azione cinematografica, ma delle estensioni o variazioni del cinema istituzionale. In qualche modo, sono simili, se non inferiori, ai film di Xie Jin.[1] Quali sono i veri sentimenti delle persone che vivono su questa terra? A loro non interessa questa domanda. Quando rappresentiamo altre persone nei film, dobbiamo essere costantemente consci di ogni posizione ideologica esistente.
Il Nord-Ovest è il deserto dei Gobi, l’altopiano del Huangtu (Loess). In queste terre, le persone vivono un’esistenza forte, coraggiosa e spartana. La situazione non è differente nello Yunnan. Nonostante lo Yunnan abbia montagne verdi e acque limpide, esteriormente le persone sono ancora dure, tenaci, o addirittura intrepide. La loro forza non è inferiore a quella dei popoli del Nord-Ovest. Lo Yunnan si trova nella parte più alta del fiume Yangtze (Azzurro), e questa potrebbe essere la ragione per quel qualcosa di primitivo che ne caratterizza gli abitanti. Ho sempre fantasticato sull’area del fiume Azzurro. Le regioni del fiume Giallo e del fiume Azzurro sono le due culle della civilizzazione cinese e coltivano due diversi stili di vita. Sono cresciuto nella regione del fiume Giallo, quindi l’altra regione era per me molto misteriosa. Volevo vivere e capire la cultura del fiume Azzurro e trasporla nel mio film. Perciò, appena ho finito di lavorare nel Nord-Ovest, sono andato direttamente nello Yunnan.
L’antropologo americano James C. Scott ha notoriamente definito gli abitanti dell’altopiano Zomia “barbarici per scelta” – poiché i gruppi etnici dell’area sono formati da persone che scappano da varie forme di governo statale. Lo Zomia comprende parti di sette nazioni asiatiche, tra cui lo Yunnan e il Myanmar.[2] Mi sembra che, dopo avere documentato in Ta’ang (2016) il tentativo della popolazione Ta’ang di oltrepassare il confine tra Myanmar e Yunnan per cercare rifugio, affiori dalla sua filmografia una specie di mappa dello Zomia.
Conosco il libro di Scott, ma non l’ho ancora letto. Se ci sono cose in comune tra i diversi gruppi etnici dell’altopiano, è a causa delle difficili circostanze culturali e naturali. Nel cinema cinese le minoranze etniche dello Yunnan sono sempre state rappresentate in maniera stereotipica come popolazioni pacifiche, spesso intente a ballare e cantare.[3] Tuttavia, questa descrizione non è assolutamente veritiera! Purtroppo, la maggior parte dei cinesi non sa nulla di queste popolazioni. Quando sono arrivato nella regione, li ho trovati estremamente rispettabili. Vivono in un ambiente brutale, proprio come Sun Shixiang li ha descritti nel suo romanzo. Sono pieni di speranze e sogni e lottano per cambiare le loro vite, ma la realtà è difficile da cambiare.
Il territorio dello Yunnan è magnifico, anche più di quello dell’altopiano Huangtu. Le valli che collegano le montagne giganti possono essere profonde mille o duemila metri. Una canzone locale dice: “Ci sono montagne verdi dopo ottocento montagne verdi.” E poi sull’altro lato c’è l’altopiano tibetano, il più alto e grande al mondo. Un tale ambiente determina la struttura emozionale e psicologica di chi vi abita. Sono forti e duri. Le relazioni tra le persone possono essere così dirette da sembrarci feroci. Nel passato non sapevamo che queste persone fossero così. Il Nord-Est dello Yunnan, dove ho girato la maggior parte dei miei film, ha prodotto molte figure eroiche della Storia cinese. Sono anche affascinato dalla parte più bassa del fiume Azzurro, la regione di Shanghai e la provincia Zhejiang, dove è nata la moderna cultura cinese e quella tradizionale è meglio conservata. Là ho girato i miei tre film più recenti, anche con la speranza di poter accedere alla vita culturale della Cina dell’Est.
Procedendo a ritroso nella sua carriera, so che hai frequentato sia l’accademia d’arte sia la scuola di cinema – dopo aver finito gli studi alla Lu Xun Academy of Fine Arts è andato alla Film Academy di Pechino. Cosa l’ha indotto a frequentare la scuola di cinema? E com’era frequentare la Film Academy di Pechino negli anni ’90?
Ero appassionato di cinema. Negli anni dell’università, guardavo quasi tre film al giorno. La mia generazione è quella dei registi della Sesta Generazione come Wang Xiaoshuai e Jia Zhangke, ma sono andato alla Film Academy di Pechino dopo di loro e ho preso una traiettoria completamente differente. Ho avuto l’opportunità di studiare con Zhou Chuanji (1925-2017) a Pechino. Era un professore eccellente. Durante la Rivoluzione Culturale, ha tradotto segretamente tutti i più importanti testi occidentali di teoria del cinema. Negli anni ’80 ha viaggiato per il mondo e ha riportato migliaia di videocassette. Nei suoi corsi ho visto i film di Tarkovskij, Antonioni e Bergman. Sono stati i film di Tarkovskij che mi hanno fatto capire cos’è effettivamente il cinema. Tuttavia, l’influenza di Bergman non è durata a lungo. Ho anche amato Pasolini. Credo che tutti i registi contemporanei debbano qualcosa a Pasolini.
NOTE
[1] La storia del cinema cinese è solitamente periodizzata secondo le diverse generazioni di registi. Zhang Yimou e Chen Kaige sono i registi più famosi della Quinta Generazione, mentre Xie Jin è il maggior rappresentante della Quarta Generazione, principalmente attiva durante l’era dell’estrema sinistra.
[2] James C. Scott, The Art of Not Being Governed. An Anarchist History of Upland Southeast Asia, Yale University Press, New Haven 2010. Il libro è tradotto in cinese.
[3] L’esempio più canonizzato e conosciuto è il musical Five Golden Flowers (1959), in cui è rappresentata la minoranza Bai dello Yunnan.
(traduzione di Luca Zamparini)