Il precario confine che separa documentario e cinema di finzione è un luogo di messa alla prova per tanti giovani autori contemporanei che, nonostante la scivolosità di questo terreno, si cimentano nella messa in scena del reale, fondendo l’autenticità dei loro personaggi a una elaborazione narrativa, da cui non si esce sempre indenni. Riesce pienamente Tala Hadid, giovane regista di origine marocchina, che è tornata nei luoghi d’origine della sua famiglia vivendo in una comunità berbera dell’Alto Atlante per sei anni, instaurando un rapporto di fiducia reciproca con una famiglia divenuta protagonista del suo film.
House in the Fields, presentato al Forum della Berlinale e passato in Italia a IsReal – Festival di cinema del reale dell’Istituto Superiore Regionale Etnografico di Nuoro, è il risultato di un lavoro prodigioso: a raccontarci la vita familiare è Khadija, una ragazzina destinata a proseguire gli studi, dopo aver salutato la sorella Fatima, concessa sposa giovanissima a un ragazzo andato a cercare fortuna lontano dal villaggio natale. Strutturato seguendo il ritmo della natura e delle stagioni, il documentario vive di una rara ispirazione visiva, ricercato nel comporre suggestivi quadri sulla campagna nelle diverse luci dell’anno, semplice nel seguire l’evoluzione delle due sorelle protagoniste, sospese tra il sogno dell’avvenire e la sua concretizzazione.
L’uso della luce emoziona e ricorda l’impeto dei grandi: i raggi del sole scolpiscono e stordiscono come avviene nell’albero della vita malickiano, autore d’ispirazione anche per la costruzione dell’interessante commento sonoro del film. I pensieri e le paure appena bisbigliate di Khadija risplendono d’intensa autenticità come avviene nei migliori film dell’autore texano.
La prima parte vive di un’incredibile potenza evocativa: Khadija racconta le contraddizioni di una società ancora arroccata nella convinzione dell’uomo al centro della sfera lavorativa e politica, che si affaccia quasi impaurita al nuovo secolo femminile, sognato con forza dalla piccola protagonista, aspirante avvocato, donna che potrebbe partecipare alla trasformazione di un nuovo Marocco. E la forza del suo desiderio, che illumina il volto di bambina, è una delle più indimenticabili immagini di questo film delicato e potente.
Le prime stagioni trascorrono con fluidità e preparano ad una seconda parte del film in crescendo: i pensieri, i sentimenti e i dubbi si intrecciano e si mescolano in un ritratto familiare che si apre ai diversi componenti e si allarga alla comunità. Gli sguardi in macchina quasi imbarazzati degli adulti, contrapposti a quelli più potenti e sfacciati dei bambini, sottolineano un film pensato e realizzato nel rispetto e nell’ascolto di ciascuno, anche se alcuni personaggi restano sullo sfondo mentre altri sono rivelati nella loro intimità. Proprio questi due approcci che compongono il film danno vita a un interessante intreccio tra un film più puramente etnografico (nella scena della lavorazione della terra) a uno più narrativo, vicino alla finzione, come nelle scene della lavorazione della tela tra una confessione e l’altra.
Il crescendo progressivo esplode nelle ultime macro-sequenze del film, il matrimonio di Fatima diventa quasi uno stratagemma che consente alla giovane regista di alzare ulteriormente il ritmo narrativo: la luce si fa più contrastata nella notte, i cantatori urlano a squarciagola attorno al fuoco, i colori si fanno ancor più portatori di significato, con un indimenticabile velo rosso che copre il viso apatico della sposa, che lascia al non-detto più di qualche suggerimento.
Tala Hadid non si accontenta però di un finale che stordisce per potenza e forza allusiva, e torna al sussurrato nella scena finale, in cui la piccola Khadija si interroga su ciò che riserva il futuro alla sorella appena persa e a lei rimasta unica presenza femminile in una casa di uomini. Il viso ancora gonfio dal sonno della notte insonne, la ragazzina si gira verso la luce della finestra e un sentiero che porta lontano, il letto e la camera improvvisamente sono troppo grandi per una sorella sola, l’unica possibilità è crescere in fretta, in un mondo ancora troppo feroce per le bambine che sognano di diventare donne in carriera, troppo feroce con una famiglia che vive in una casa in mezzo ai campi.