Chi ha avuto occasione di chiedere a Frederick Wiseman come ha girato il suo ultimo film, si è sentito rispondere più o meno quello che il regista ripete da tempo a proposito delle sue opere più recenti: “Ho pensato fosse interessante fare un film su questo soggetto, non ho svolto particolari ricerche prima di girare, avute le autorizzazioni necessarie ho realizzato dodici settimane di riprese, poi ho ‘trovato’ il film al montaggio”.
Al di là della quasi proverbiale modestia wisemaniana, le oltre tre ore e un quarto di Ex Libris: The New York Public Library si presentano sì perfettamente rifinite al montaggio, ma anche attentamente strutturate fin dal primo concepimento del film secondo una precisa linea di lavoro che il regista ha affinato nel corso degli anni. Come già At Berkeley (2013) e National Gallery (2014), tra gli altri, Ex Libris è contraddistinto da una chiarezza espressiva degna di un saggio assai ben documentato, strutturato e argomentato, un saggio che però non fa ricorso a una sola didascalia o nota di commento dell’autore.
Maestro nel far parlare i contenuti, Wiseman costruisce anche in questo caso un’opera di rara coesione e coerenza formale dove ciascuna unità parzialmente autonoma corrisponde in realtà puntualmente alla scaletta di riferimento progettata dal regista. Così, nel raccontare la New York Public Library e le molteplici attività a essa collegate, ogni sequenza definisce un ambito o una funzione della biblioteca e del suo personale, ne descrive il lavoro, esemplifica le pratiche e le problematiche di una struttura tanto complessa, fornisce dati empirici sui bisogni dei cittadini di New York e su come alcuni di questi possano essere soddisfatti dall’istituzione bibliotecaria, offrendo l’uno dopo l’altro allo spettatore altrettanti argomenti di sostegno a una tesi generale che ne esce via via sempre più rafforzata.
Ex Libris è quindi un film descrittivo che trasmette un pensiero senza didascalismi o artifici retorici, quali il presentare argomenti altrui e poi confutarli, perché si fa forza del mostrare in modo non soggettivo bensì nell’evidenza assoluta della sua articolata missione culturale quel che normalmente non si vede: da un lato, il dietro le quinte dell’organismo denominato New York Public Library, la dignità del lavoro quotidiano di uomini e donne che incarnano oggi un’istituzione secolare, rendendola profondamente connessa al tempo presente e suo attore consapevole; dall’altro, tramite ciò, la più sottile trama di relazioni politiche tra i suoi vari livelli e tra il dentro e il fuori l’istituzione, da cui emerge il ruolo determinante che essa svolge nell’attuale temperie sociale statunitense.
Difatti, fuori campo aleggiano i fantasmi della povertà materiale, della miseria culturale e delle tensioni sociali testimoniate dall’elezione di Donald Trump, avvenuta dopo le riprese (risalenti all’autunno 2015) e mai evocata direttamente. Inoltre, il continuo dialogo tra dentro e fuori e tra centro e periferie su cui Wiseman ha costruito già altri suoi film è qui esaltato dal fatto che negli anni la New York Public Library si è diffusa tra Manhattan, Bronx e Staten Island in circa novanta sedi secondarie che operano come centri d’animazione, di formazione per adulti e di supporto scolastico per studenti: l’alternarsi di riprese realizzate dentro il celebre e imponente edificio della Fifth Avenue, cuore della NYPL, e nelle sue sedi distaccate – introdotte dalle immagini-raccordo degli esterni di ciascuna di esse usuali nel cinema recente del regista – ha perciò l’effetto di materializzare sullo schermo le dimensioni e la profondità d’azione di una entità che è molto diversa dalle analoghe istituzioni pubbliche europee.
La più importante e più ‘democratica’ biblioteca di New York è infatti gestita da un’associazione privata senza scopo di lucro che si sostiene sia con fondi pubblici sia anche con donazioni private. Come in At Berkeley (2013), Wiseman porta all’attenzione degli americani (e non solo) un modello di commistione pubblico-privato in cui nessuna parte può prescindere dall’altra, in una dialettica necessaria a compensare le mancanze rispettive e le ineguaglianze che da esse possono derivare. Palesando come il privato che agisce per il suo solo profitto, in fin dei conti, non possa avere cittadinanza nelle complesse democrazie contemporanee.
I continui riferimenti alle questioni razziali che ancora agitano gli Stati Uniti su cui insistono varie conferenze, incontri, seminari ripresi dal regista o una discussione sulle modalità di accoglienza dei senzatetto nei locali della biblioteca sono dunque, nel film, solo gli elementi più esplicitamente tangibili di un processo costante di verifica e autocoscienza della salute di una comunità che tanto enti quali la NYLP quanto il cinema di Wiseman praticano puntualmente da decenni.