Che agli occhi di una diciassettenne gli anni del liceo possano sembrare una stagione infinita, una giungla impervia di saliscendi emotivi da manuale di sopravvivenza, lo sa bene Kelly Fremon Craig, alle prese con il suo primo lungometraggio da regista, The Edge of Seventeen, dopo alcuni film da sceneggiatrice. Nadine (Hailee Steinfeld) è una liceale turbolenta che divide il mondo in due categorie: i vincenti, e quelli che vorrebbero vedere i primi morire in un’esplosione. Le cose cambiano quando la sua leale e unica amica, Krista, cede al fascino dell’odiato fratello, mettendo in discussione il labile equilibrio emotivo della protagonista e il suo modo, rigido e dissacrante, di vedere le cose. Pur prendendo il via dai classici presupposti della commedia coming-of-age, Fremon Craig se ne allontana impercettibilmente, rifuggendo stereotipi e facili caratterizzazioni, indagando con sincera curiosità le sfumature di un’età agrodolce. Se fare un film sull’adolescenza, specialmente oggi, è un’operazione a rischio di cliché, lo scambio sarcastico e cinico della prima scena, in cui Nadine sfoggia una certa inclinazione al melodramma preannunciando il proprio suicidio al suo professore di Storia, restituisce immediatamente il piglio originale e dolceamaro che The Edge of Seventeen riesce, quasi sempre, a mantenere.
Gran parte della forza del film risiede infatti nell’intensa e ruvida fragilità della sua protagonista, spesso sgraziata, apparentemente crudele e sboccata, difficile da amare. Sempre sul filo tra offesa e difesa, impantanata in un’altalenante sfiducia nei confronti della costellazione di affetti che la circonda, Nadine si barrica dietro battute taglienti e ricatti osceni pur di non mostrare ciò che agita il profondo del suo sentire: il fastidio e la tremenda condanna di dover stare per sempre in compagnia di se stessa (“I had the worst thought. I’ve got to spend the rest of my life with myself”). Se la strategia dei giovani protagonisti di The Perks of Being a Wallflower e Me and Earl and the Dying Girl in reazione alle insicurezze e alla scarsa autostima è quella di rendersi invisibili e trasformarsi in carta da parati per confondersi tra gli spietati coetanei, Nadine fa il contrario: più teme di non poter riuscire amabile agli occhi degli altri, più si impegna a rendersi detestabile, prima con la madre e il fratello, poi con Krista, costretta a pagare fino in fondo per il suo imperdonabile tradimento.
La regista la osserva paziente, in un progressivo avvicinamento, così da farne emergere in maniera sottile la complessa umanità. Come accade in una delle scene insieme più divertenti e commoventi del film, quando Nadine, chiusa in bagno durante una festa, si intima allo specchio: “Don’t be awkward. Socialize!”. Perché a diciassette anni socializzare è un imperativo, e nulla sembra essere tanto difficile come mettersi a nudo, ammettere agli altri le proprie debolezze. In uno dei dialoghi con il professore di Storia, a cui Woody Harrelson regala tocchi di sadica magia, e che restano i momenti più geniali e divertenti di The Edge of Seventeen, Nadine si definisce un’old soul, un’anima antica, destinata all’isolamento sociale e all’incomprensione.
Passo dopo passo, la ragazza riesce a farsi amare nonostante tutto, per la dolce ferocia con cui cerca un contatto con l’altro, e per la tenera e a tratti patetica ambiguità con cui vive il risveglio ormonale. È qui che la regista riesce a essere più convincente che mai: nel tratteggiare la sessualità disturbante e inquieta della giovane, intenta a esplorare territori sconosciuti, e a volte deludenti, tra gli acquari azzurrini di Petland o a bordo di una Mercury Marquis. Peccato che, alla ricerca di una rappresentazione sincera e sfaccettata della delicata fase che segna la transizione verso l’età adulta, The Edge of Seventeen non convinca fino in fondo, preferendo mantenersi sul confine sicuro della teen comedy, e Craig perda l’occasione di dare forza vitale ai tratti più originali e dissacranti della propria visione, mancando di spezzare in via definitiva il cordone ombelicale con l’immaginario dei riferimenti più risaputi del racconto di formazione.