Non rubare.
Non pronunciare falsa testimonianza contro il tuo prossimo.
Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che ti dà il Signore, tuo Dio.
Tre comandamenti infranti in un’opera segnata dai limiti, un film di barriere che si prospettano insormontabili. Limiti imposti dall’alto o dal basso, timori che emergono dal mondo delle periferie o proibizioni partorite dalla morale cattolica, che Stefano e Agnese – custode venticinquenne del parcheggio di un supermercato che confina con un campo rom, e una diciottenne alla soglia dell’adesione al voto di castità fino al matrimonio – finiscono per fare propri. La rincorsa con cui si apre Cuori Puri, che segna il primo incontro tra i due, altro non è se non una fuga interiore verso la conoscenza del sé e dell’altro, moto impulsivo riproposto sul finale per chiudersi nella stasi di un abbraccio che permetterà, forse, la generazione di nuove e più solide radici.
Un accidentato percorso teso a rappresentare un ipotetico quanto difficile travalicamento delle soglie, la ricerca di un’etica personale che i due si cuciono addosso a modo loro, costretta a convivere con le contraddizioni che continuamente li spingono a vacillare, restituendoci due esseri umani (im)perfetti, felicemente lontani da uno schematismo sin troppo spesso presente nel panorama italiano. Cuori puri si inserisce del resto nella scia di un giovane cinema alla ricerca dell’origine (e) della purezza – Fiore di Claudio Giovannesi, Corpo Celeste di Alice Rohrwacher, La Santa che dorme di Laura Samani – e che dà voce alle ansie di adulti ancora acerbi alla ricerca di una riconciliazione con un tessuto sociale permeato da eterni conflitti.
Alla sua opera prima, presentata alla Quinzaine des Réalisateurs, De Paolis sceglie di confrontarsi con due figure intrappolate, rispettivamente, nei retaggi del passato e in una contemporaneità in(de)finita, in un dogmatismo postmoderno. Un eterno ritorno verso errori, traumi e risentimenti segnano un viaggio – seppur identificabile come terreno di formazione e trasformazione, in bilico tra esitazioni e ripensamenti – all’interno di una temporalità congelata, pronta però ad erodersi e a liquefarsi sul finale, aperto al fallimento quanto alla speranza. Epilogo in un territorio in cui nulla è già scritto, in un gesto che abbraccia la possibilità di far fronte al futuro e, abbandonando la propria verginità – simbolo di purezza, ma anche del timore di aprirsi alle diversità proprie del mondo che li attornia –, a quello che è altro da sé.
Frutto di una lunga ricerca sul campo snodatasi tra nuove comunità cristiane, centri di accoglienza e campi rom, la finzionalità del racconto si apre con naturalezza al respiro del reale: “Le riunioni in ufficio si sono trasformate in viaggi nelle vite di persone che sono poi diventate i nostri protagonisti”. Un lavoro empirico sul singolo e sulla collettività operato da De Paolis si traduce in tocco naturalistico. La caustica vitalità che caratterizza il vissuto di questi giovani adulti è impressa sui volti di chi per la prima volta è protagonista sul grande schermo ed è lasciato libero di improvvisare, muovendosi nello spazio filmico senza rigide imposizioni dettate dallo sguardo del regista e dell’operatore; così come convincente è la figura di Don Luca – interpretato da Stefano Fresi – capace di cogliere e sciogliere gli interrogativi dei giovani frequentatori della parrocchia. Un prete-filosofo che colma il divario tra modernità e tradizione, che regala al suo gregge un Gesù traghettatore dei dubbi e delle incertezze dei singoli, un Cristo capace di ricondurre sulla strada maestra così come farebbe un navigatore satellitare. Più rigido invece l’affresco delle scene di gruppo dei giovani frequentatori della comunità, così come la figura della madre di Agnese, una Bobulova ingessata nel suo diventare essa stessa vittima sacrificale delle angosce e delle imposizioni che trasmette, senza lasciar spazio ad un singolo respiro, alla figlia.
Cuori Puri elude con intelligenza le aspettative dello spettatore: stralci di vite in cui nessuno sembra essere esente da debolezze ed intransigenza, in una caccia al colpevole di stampo autolesionistico. I conflitti paiono irrisolti, colti nel vivo del momento presente – tra le contraddizioni del singolo e della società contemporanea – da uno sguardo autoriale che sceglie l’osservazione sollevandosi da ogni giudizio, da ogni volontà buonista destinata a ricondurre il tutto ad un ordine civile ed etico.